Confermato dall’Agenzia delle Entrate il regime del reverse charge per le cessioni di polveri d’oro e le paste contenenti polvere d’oro con grado di purezza previsto per legge.
Consulenza giuridica dell’Agenzia delle Entrate n. 13 del 18/11/2020
Con la consulenza giuridica n. 13 del 18.11.2020 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito la definizione e l’ambito di applicazione, ai fini della fatturazione IVA, dei concetti di “materia prima” e “semilavorato in oro”, tra cui possono rientrare anche le polveri d’oro e le paste contenenti polvere d’oro impiegate nei processi di saldatura dei gioielli, con un determinato grado di purezza previsto per legge, le cui cessioni sono assoggettate, ai fini dell’imposta, al meccanismo del “reverse charge” ai sensi dell’articolo 17 c. 5 del DPR 633/2972.
Le cessioni di oro, materiali d’oro, di prodotti semilavorati e di “rottami” d’oro, sono influenzate, ai fini della corretta fatturazione IVA, sia dal grado di purezza del metallo all’atto della cessione sia dalla natura/posizione del cessionario sia anche dalla modalità di acquisto originaria da parte del cedente (se ha acquistato con IVA del margine).
Nel caso sottoposto alle Entrate, l’azienda istante ha fatto presente la “difficoltà interpretativa” di ricondurre correttamente le cessioni di polveri d’oro e di paste contenenti polvere d’oro, impiegate quali materiali nei processi di saldatura dei gioielli, tra le cessioni di materiale d’oro, diverso da quello d’investimento, cui si applica il meccanismo del reverse charge, ricomprendendo le cessioni in oggetto nella definizione di “materia prima” e “semilavorato”.
Si premette che con legge n. 7 del 17.1.2000 (liberalizzazione del mercato dell’oro), è stato introdotto in detto mercato un regime speciale ai fini IVA, derivante dalle disposizioni in argomento previste ora dalla Direttiva IVA 112/2006 (artt. 344 e ss), in base al quale per le cessioni e le operazioni finanziarie riguardanti l’oro da investimento è prevista l’esenzione IVA, salva l’opzione per l’imponibilità con inversione contabnile, mentre le cessioni d’oro diverso da quello da investimento, il c.d. “oro industriale”, definito in maniera residuale dal primo, sono soggette al regime del reverse charge ex art. 17 c. 5 del DPR 633/72.
L’articolo 1 della legge n. 7/2000 ha operato una distinzione tra l’oro da “investimento”, consistente in a) lingotti e/o placchette con un peso superiore a un grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi e b) monete d’oro pari o superiori a 900 millesimi coniate dopo il 1800, aventi determinate caratteristiche, e l’oro “diverso da quello da investimento” o c.d. “industriale”, consistente in materiali d’oro in forma diversa e semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi destinati in ogni caso alla lavorazione industriale.
La disciplina delle cessioni di questi metalli pregiati, ai fini IVA, è in sintesi la seguente:
alle cessioni di oro da “investimento” si applica, ai sensi dell’articolo 10 n. 11) del DPR n. 633/72 (che ne dà una definizione), il regime di esenzione dall’imposta, con possibilità di opzione per l’imponibilità, ed in tal caso l’IVA è assolta in reverse charge ex art. 17 c. 5 DPR 633/72 da parte di coloro che “producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento ovvero commerciano oro da investimento”;
alle cessioni di oro “diverso da quello da investimento” ovvero di oro “industriale”, effettuate a favore di soggetti passivi, si applica il regime di imponibilità, con assolvimento dell’imposta mediante reverse charge, ai sensi del citato art. 17 c. 5;
alle cessioni dei prodotti d’oro finiti, quali gioielli o altri prodotti da inserire in quanto tali nel circuito commerciale, nei confronti di soggetti passivi, è riservato il trattamento di imponibilità con assolvimento dell’IVA in base alle “caratteristiche di acquisto” del cessionario (in reverse charge se il bene è destinato ad affinazione/lavorazione industriale, ovvero con applicazione del regime ordinario o infine del margine nel caso in cui il bene sia usato e sia stato ceduto da un privato o da un altro soggetto iva che ha applicato il margine IVA nel caso di acquisto ai fini di mera rivendita).
In base dall’art. 10 n. 11) del DPTR 633/72, l’esenzione è prevista per:
– le cessioni di oro da investimento, compreso quello rappresentato da certificati in oro, anche non allocato, oppure scambiato su conti metallo, ad esclusione di quelle poste in essere dai soggetti che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento ovvero commerciano oro da investimento, i quali abbiano optato, anche in relazione a ciascuna cessione, per l’applicazione dell’imposta;
– le operazioni previste dall’articolo 67 del TUIR – operazioni finanziarie sull’oro – , riferite all’oro da investimento;
– le intermediazioni relative alle precedenti operazioni. Se il cedente ha optato per l’applicazione dell’imposta, analoga opzione può essere esercitata per le relative prestazioni di intermediazione.
Per l’oro industriale, come detto, è previsto il regime di imponibilità con assolvimento dell’IVA mediante reverse charge.
Nella soluzione offerta dall’azienda istante, la fatturazione con reverse charge si applicherebbe al materiale d’oro ed ai semilavorati in oro, purché di purezza pari o superiore a 325 millesimi, secondo le seguenti definizioni.
Per materiale d’oro si intenderebbe l’oro od una sua lega nelle seguenti forme:
a) lingotti, pani, verghe, bottoni, granuli ed in genere ogni prodotto ricavato da fusione;
b) laminati e trafilati, in lamine, barre, fili ed in genere ogni prodotto predisposto ad ogni processo di trasformazione;
c) polveri prodotte con processi di natura chimica o elettrochimica o meccanica;
d) leghe brasanti.
Per semilavorati si intenderebbero i prodotti, di qualsiasi forma e dimensione, di processi tecnologici di qualsiasi natura meccanici e non, che pur presentando una struttura finita o semifinita non risultano diretti ad uno specifico uso o funzione per il consumatore finale non soggetto passivo di imposta, ma sono destinati ad essere intimamente inseriti in oggetti compositi, garantiti nel loro complesso dal produttore che opera il montaggio e/o la successiva lavorazione. I semilavorati sarebbero dunque prodotti che necessitano di un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione al fine di giungere alla possibilità di utilizzo da parte del consumatore finale non soggetto passivo di imposta. Fra le ulteriori lavorazioni da eseguirsi, che non conferiscono comunque la natura di prodotto finito al manufatto, sarebbero da ricomprendersi le operazioni di assemblaggio ed incastonatura.
Nel “materiale d’oro” andrebbe ricompresa anche l’oreficeria usata, destinata alla fusione ed affinazione, già oggetto della Risoluzione delle Entrate n. 92/2013, derivante dall’attività dei “compro oro” i quali, all’atto della rivendita dei suddetti metalli usati nei confronti di operatori professionali, dovrebbero fatturare le operazioni ex art.17 co.5 DPR 633/72.
In sede di risposta, in merito all’esatta nozione di “materiale d’oro” e di “prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi”, l’Agenzia ha osservato che con tali espressioni il legislatore ha inteso fare riferimento all’oro nella sua funzione prevalentemente industriale, ossia di materia prima destinata alla lavorazione, distinta, quindi, dall’oro da investimento.
Nella nozione ora citata sono ricomprese tutte le forme di oro grezzo destinate ad una successiva lavorazione e la caratteristica di “semilavorato” è quella di essere un prodotto privo di uno specifico uso e funzione, vale a dire dall’impossibilità di utilizzare il materiale essendo necessario un ulteriore stadio di lavorazione o trasformazione che ne consenta l’utilizzo da parte del consumatore finale.
L’Agenzia, nel richiamare un precedente della Corte di Giustizia UE (causa C-550/14), nel quale si prendeva che né l’articolo 198 della direttiva IVA, né altre disposizioni di quest’ultima, precisano cosa debba intendersi per “materiale d’oro o prodotti semilavorati di purezza pari o superiore a 325 millesimi”, e che la locuzione “materiale d’oro” può comprendere non solo l’oro allo stato grezzo, ma anche il metallo fino o qualsivoglia materiale composto in parte di oro, concludeva nel senso di ricomprendere il metallo nella nozione in questione attraverso il “livello di purezza dell’oro”, decisivo per determinare se una cessione di materiale d’oro o di prodotti semilavorati, che non costituiscono un prodotto finito, rientri o meno nell’ambito di applicazione del reverse charge.
In tal modo l’Agenzia ha ritenuto condivisibile la posizione dell’istante circa la riconducibilità delle “polveri d’oro” e delle “paste contenenti polveri d’oro” tra le materie prime e semilavorati cui si applica il regime dell’inversione contabile, stante comunque il livello di purezza dell’oro richiesto dalla norma.
Un cenno a parte va svolto riguardo le differenti modalità di fatturazione nelle ipotesi in cui oggetto della cessione sono prodotti finiti d’oro usati, ceduti ad operatori professionali che svolgono, contemporaneamente, sia attività di trasformazione/fabbricazione dei metalli sia commercializzazione dei beni usati.
Con la Ris. n. 375/2002 l’Agenzia ha chiarito che i prodotti finiti d’oro usati, anche se non qualificabili sotto il profilo merceologico come “oro industriale”, possono essere assimilati, ai fini IVA, a quest’ultimo prodotto, in considerazione dell’univoca destinazione del metallo prezioso alla lavorazione da parte del cessionario, con conseguente applicazione del meccanismo del “reverse charge” da parte dei commercianti all’ingrosso e/o al dettaglio di preziosi, che acquistano (da privati ed anche da gioiellerie) oggetti d’oro usati per poi rivenderli, sotto forma di rottami d’oro, a soggetti che operano nel settore dell’affinazione e del recupero di metalli preziosi.
Con successiva Ris. n. 92/2013, l’Agenzia ha poi specificato che un bene può essere destinato “per vocazione” ad un processo di lavorazione sia quando è inidoneo oggettivamente ad essere inserito nel circuito commerciale, perché rotto o difettoso (come nel caso dei rottami), sia anche qualora – pur essendo un monile sano e non definibile in senso stretto come “rottame” – sia ceduto ad un operatore che effettua su di esso l’attività industriale di trasformazione ed affinazione del metallo prezioso e lo lavora alla stregua di oro industriale.
In sostanza, specifica correttamente l’Agenzia, la “destinazione” al processo di lavorazione e trasformazione industriale, che rende applicabile il regime dell’inversione contabile alle relative cessioni, riguarda non solo i rottami in senso stretto, ma qualsiasi bene di oro usato, a prescindere dalle condizioni in cui si trova (sia esso integro ovvero rotto o difettoso, riparabile o meno), in considerazione della destinazione di tali materiali al ricondizionamento industriale proprio dei semilavorati dell’oro industriale.
Il “reinserimento” di tali beni nel processo di lavorazione industriale, però, deve risultare in modo univoco e non dipendere solo dalla “scelta” dell’industria di affinazione.
È necessario, quindi, al fine della corretta fatturazione da parte del cedente (reverse charge, iva del margine o iva ordinaria), verificare attentamente la finalità dell’acquisto ovvero la destinazione finale del metallo venduto anche in relazione alle caratteristiche aziendali ed all’attività del cessionario.
Occorre, prosegue l’Agenzia nella risoluzione da ultimo citata, che il cessionario svolga effettivamente sul bene d’oro usato (che gli è stato ceduto) attività di fusione e trasformazione industriale del metallo, dovendo ritenersi che tale circostanza sia l’unica che consente di assimilare, sotto il profilo del trattamento IVA, l’acquisto dei suddetti beni di oro usato ad un acquisto di oro industriale (semilavorato), soggetto al meccanismo dell’inversione contabile.
La “destinazione per vocazione” dei beni usati (rottami e non) ceduti ad un operatore professionale ai fini di lavorazione/affinazione industriale, rileva ogniqualvolta il cessionario o è un azienda che effettua “esclusivamente” l’attività di lavorazione industriale dei metalli preziosi, o è un’azienda di fabbricazione, titolare di marchio di identificazione ai sensi del D.lgs. 251 del 1999, che effettua l’attività di affinazione industriale del metallo prezioso al fine di immettere in produzione nuovi oggetti d’oro recanti il proprio marchio di identificazione.
In caso contrario, l’esercizio da parte di un’azienda sia dell’attività di trasformazione sia di commercializzazione dei beni usati, esclude che i beni d’oro usati possano essere ritenuti per vocazione “sempre” destinati ad un processo di trasformazione industriale, con esclusione del meccanismo del reverse charge.
In questa ipotesi, come in quella in cui il cessionario svolga esclusivamente attività di commercializzazione di beni d’oro usati, acquistati solo ai fini della rivendita e quindi senza che li stessi subiscano alcuna trasformazione, si deve applicare il regime del “margine” (art. 36 del DL 41/1995), qualora il cedente (“compro oro” o gioielliere) abbia acquistato da un privato consumatore o da altro soggetto IVA che ha applicato il medesimo regime fiscale, ovvero il regime IVA ordinario nel caso di acquisto da operatori commerciali che a loro volta non abbiano adottato il regime del margine.