Indetraibilità dell’iva per servizi aeroportuali erroneamente addebitata in fattura.
Corte di Cassazione sentenza 35500/2021.
Non è ammessa in capo al committente la detrazione dell’IVA addebitata dal prestatore nelle fatture per i servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto di cui al n. 6), c. 1, dell’art. 9 del DPR 633/1972, per l’assenza del requisito della territorialità, che riconduce l’operazione nell’ambito del regime di non imponibilità. Nel caso di contestazione all’utilizzatore della fattura, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’indebita detrazione dell’imposta pagata per l’acquisizione di servizi, spetta al primo l’onere di provare la legittimità e la correttezza, ovvero il fatto costitutivo del diritto, il cui onere non può che gravare sul soggetto che intende esercitarlo.
Queste, in sintesi, le argomentazioni contenute nella sentenza n. 35500 del 19 novembre 2021 con cui la Corte di Cassazione ha altresì ribadito[1] che il diritto di detrazione dell’IVA è esercitabile solo nei limiti dell’imposta effettivamente dovuta per un’operazione realmente avvenuta, con esclusione di quella erroneamente indicata in fattura, da parte del prestatore/cedente, riportante un’aliquota più alta di quella spettante per legge.
1. Non imponibilità/esenzione delle prestazioni di servizi all’esportazione o connesse ai trasporti internazionali.
Il caso in esame ha riguardato una verifica fiscale condotta dalla G.d.F. di Bolzano, culminata in un p.v.c. con cui l’Agenzia delle Entrate notificò alla società di gestione aeroportuale del terminal di Bolzano un accertamento con cui si contestava l’indebita detrazione di IVA assolta in relazione a servizi (si trattava di spese per manutenzioni effettuate nel sedime aeroportuale) ricevuti da diversi fornitori, consistenti in operazioni non imponibili per difetto del requisito di territorialità, ai sensi dell’art. 9, c. 1, n. 6), del D.P.R. n. 633/1972.
La CTR di Bolzano accolse l’appello della contribuente rilevando che non era stata raggiunta la prova, ritenuta gravante sull’Ufficio, che si trattasse di operazioni di servizi e prestazioni afferenti alla manutenzione dell’aeroporto, e comunque escludendo la legittimità del relativo recupero perché in contrasto col principio di neutralità.
L’esenzione in oggetto, ai fini unionali, la si rintraccia negli artt. 146, par. 1, lett. e) e 148, par. 1, lett. g) della Direttiva IVA 2006/112 i quali impongono ai singoli Stati membri UE di esentare, rispettivamente, “e) le prestazioni di servizi, compresi i trasporti e le operazioni accessorie, eccettuate le prestazioni di servizi esenti conformemente agli articoli 132 e 135 qualora siano direttamente connesse alle esportazioni o importazioni di beni che beneficiano delle disposizioni previste all’articolo 61 e all’articolo 157, paragrafo 1, lettera a)”, nonché “g) le prestazioni di servizi diverse da quelle di cui alla lettera f), destinate a sopperire ai bisogni diretti degli aeromobili di cui alla lettera e) e del loro carico”.
Si deduce che sono escluse dal regime di esenzione (o non imponibilità per la normativa interna italiana) le cessioni di beni collegate alle operazioni in argomento.
Ai fini interni la norma di riferimento è l’art. 9, c. 1, n. 6), del D.P.R. n. 633/1972, per il quale costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili “i servizi prestati nei porti, autoporti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine che riflettono direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, nonché quelli resi dagli agenti marittimi raccomandatari”.
Al riguardo, nella risposta ad interpello n. 109 del 20.4.2020, l’Agenzia delle Entrate, in relazione ad un’istanza di una società svolgente attività di progettazione, produzione e installazione di sistemi di segnalazione luminosa aeroportuali, la quale aveva fornito materiali per impianti voli notte ad un aeroporto pubblico, con esclusione della posa in opera che era stata effettuata in economia dallo stesso acquirente, e per la cui cessione si doveva fatturare in regime di scissione dei pagamenti (cd. split payment), ha ribadito[2], condivisibilmente, che il regime di non imponibilità si applica esclusivamente alle prestazioni di servizi rispondenti a requisiti posti dall’articolo 9, primo comma, n. 6) del Decreto IVA e non anche alle cessioni di beni[3].
In tal modo è stata esclusa la non imponibilità nella misura in cui era impossibile alla controparte contrattuale dell’Aeroporto la qualifica di prestatore, dal momento che costui:
– non era coinvolto nelle prestazioni di servizi/lavori dell’intervento di manutenzione aeroportuale (la posa in opera dei beni acquistati era a carico dell’Aeroporto);
– non interveniva sulla base di un contratto che prevedeva una obbligazione di risultato a favore del committente;
– era stato semplicemente incaricato di fornire il materiale a coloro che avrebbero effettuato i lavori.
Punto nodale della questione, correttamente risolta dalla Cassazione in commento nel senso della non imponibilità/esenzione delle spese per manutenzioni effettuate presso la struttura aeroportuale, è stato nel tempo quello di tracciare un perimetro entro il quale contenere le prestazioni agevolative, rese nelle strutture indicate dal n. 6 dell’art. 9 del DPR 633/72, che riflettessero direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti o il movimento di beni o mezzi di trasporto.
Al riguardo, come si legge nella risposta ad Interpello del 7 luglio 2021 n. 467/E, la norma da ultimo richiamata è stata oggetto di interpretazione autentica da parte dell’articolo 3, c. 13, del DL 27.4.1990, n. 90, il quale ha disposto che “tra i servizi prestati nei porti, aeroporti e negli scali ferroviari di confine riflettenti direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto, di cui all’articolo 9, n. 6), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, si intendono compresi anche quelli di rifacimento, completamento, ampliamento, ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione degli impianti già esistenti, pur se tali opere vengono dislocate, all’interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente; si intendono compresi altresì, purché resi nell’ambito dei luoghi come sopra qualificati, i servizi relativi al movimento di persone e di assistenza ai mezzi di trasporto e quelli di cui al numero 5) dello stesso articolo, prescindendo dalla definitiva destinazione doganale dei beni”, con esclusione delle opere costruite ex-novo[4].
Un ulteriore intervento interpretativo si è avuto, in relazione esclusivamente alle zone portuali, con l’art. 1, c. 992, della legge 27.12.2006, n. 296 (Finanziaria per il 2007), per il quale “la realizzazione in porti già esistenti di opere previste nel piano regolatore portuale e nelle relative varianti ovvero qualificate come adeguamenti tecnico-funzionali sono da intendersi quali attività di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione degli stessi”.
Il descritto complessivo impianto normativo ha focalizzato[5] il regime di non imponibilità IVA solo in relazione ad alcune tipologie di prestazioni di servizi, svolte in luoghi ben definiti, che si manifestano come complessi interventi strutturali da realizzarsi su impianti già esistenti ed aventi quale fine immediato il loro funzionamento, la loro manutenzione, la movimentazione di beni o di persone, nonché l’assistenza ai mezzi di trasporto, nonché l’ampliamento, l’ammodernamento e la riqualificazione degli stessi.
Tale agevolazione è applicabile alle prestazioni di servizio realizzate dai seguenti soggetti: l’appaltatore principale nei confronti del committente delle predette opere, il subappaltatore nei confronti dell’appaltante e, per analogia, quelle realizzate da coloro che effettuano le medesime prestazioni ad un committente sulla base di un “contratto di risultato”, anche se non riconducibile alle figure tipiche dell’appalto e del subappalto[6].
In merito ai lavori preparatori di progettazione, ivi compresi i saggi e i sondaggi alla stessa attività indefettibilmente correlati, a fronte di un’interpretazione restrittiva dell’Agenzia dell’Entrate[7], si registra una condivisibile “apertura” della Cassazione, la quale, nel precedente n. 31770 del 5.12.2019, ha affermato che “… una lettura completa e sistematica della L. n. 165 del 1990, art. 3, ed una sua interpretazione logica impongono di ritenere che tra i servizi di rifacimento, ammodernamento e riqualificazione degli impianti… siano da comprendere quelli di progettazione che, come nel caso che occupa, concernono l’ammodernamento e l’ampliamento di impianti portuali, nella specie attraverso un prolungamento antemurale”.
Secondo la Corte “non vi è ragione di escludere, alla stregua della disposizione considerata, la non imponibilità dei servizi consistiti nella progettazione delle opere di cui trattasi, non potendo dubitarsi del fatto che essi, indipendentemente dal luogo della relativa materiale prestazione, siano direttamente finalizzati e funzionali alla realizzazione delle opere medesime”, data la chiara strumentalità tra l’attività di progettazione dei lavori di ammodernamento e di ampliamento degli impianti portuali e la loro esecuzione, la quale rende irrilevante il luogo in cui essa si svolge.
2. Eccezioni alla detraibilità dell’IVA esposta in fattura.
Un secondo aspetto trattato dalla sentenza in commento ha riguardato la detraibilità o meno dell’imposta erroneamente riportata in fattura per operazione non imponibile o esente, ipotesi distinta dall’indicazione in fattura di un’aliquota IVA erronea (più alta di quella applicabile) a fronte di un’operazione imponibile.
Al riguardo si evidenzia che in merito alla novella di cui alla L. n. 205 del 2017, art. 1, c. 935, che ha riformulato il disposto del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, c. 6 assoggettando alla “più mite” sanzione amministrativa da € 250 ad € 10.000 il cessionario o committente che abbia assolto l’IVA in misura superiore a quella effettiva, in luogo della sanzione pari al novanta per cento dell’ammontare della detrazione indebitamente compiuta (non spettante), fermo restando il diritto alla detrazione “parziale” nel primo caso, viene confermata qui dalla Cassazione la sua inapplicabilità all’ipotesi odierna che riguarda esclusivamente prestazioni non imponibili/esenti, applicandosi il regime “di favore” solo alle operazioni imponibili con indicazione erronea di imposta in fattura.
In tema di detrazione dell’IVA esposta in fattura, la Corte qui dà conto di due opposti approcci ermeneutici da parte del giudice di vertice in relazione all’interpretazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, c. 6.
Da un lato vi è un orientamento[8], che trae riscontro sia nel dato letterale della norma (“resta fermo il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’IVA”) sia in quello logico-sistematico di applicazione del principio del favor rei, che riconosce il diritto di detrazione in capo al cessionario/committente per l’IVA ad esso indebitamente applicata dal cedente in misura superiore a quella effettiva, nel caso in cui l’imposta sia stata poi versata all’erario dall’emittente della fattura, esclusa l’ipotesi di condotta che si inserisce in un contesto di frode fiscale.
Tale approccio ermeneutico risponderebbe ad “esigenze di economicità e semplificazione degli adempimenti dei contribuenti” stante l’assenza di alcun danno per l’Erario, nel caso di versamento dell’IVA da parte del cedente/prestatore, consentendo al contribuente “di recuperare l’importo erroneamente versato in eccesso in modo più rapido ed efficace rispetto alla richiesta di restituzione al cedente”.
L’orientamento opposto, più restrittivo[9] ma “Euro unitariamente orientato”, si mostra coerente con i principi espressi nel tempo in argomento dalla Corte di Giustizia, la quale riferisce che l’imposta riportata in fattura dal cedente/prestatore è sempre da lui dovuta all’erario e, lato cessionario/committente, la stessa è detraibile non già per il solo fatto di essere espressa sul documento contabile, bensì solo e nella misura in cui è riferita ad un’operazione realmente posta in essere nonché per la sola parte corrispondente all’imposta effettivamente dovuta.
Riguardo l’emittente della fattura, l’art. 203 della Dir. IVA 2006/112 dispone che chiunque indichi l’IVA su una fattura è debitore dell’imposta ivi menzionata, ciò anche in assenza di una qualsiasi operazione imponibile reale, con conseguente opponibilità al destinatario di tale fattura dell’indetraibilità dell’IVA relativa a operazioni inesistenti[10].
L’obbligo stabilito all’art. 203 citato mira ad eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale che può derivare dal diritto a detrazione, in capo al committente/cessionario, previsto agli articoli 167 e segg. della Dir. IVA ed è limitato dalla possibilità, che dev’essere prevista dagli Stati membri nei propri ordinamenti giuridici, di rettificare l’IVA indebitamente fatturata, qualora l’emittente della fattura dimostri la sua buona fede o abbia completamente eliminato, in tempo utile, il rischio di perdita di gettito fiscale.
Sin dal caso Genius Holding in C-342/87 la Corte UE[11], al fine di prevenire le frodi fiscali che sarebbero agevolate qualora qualsiasi imposta fatturata potesse essere detratta, ha affermato che per esercitare il diritto di detrazione il soggetto passivo deve essere in possesso di una fattura che indichi esattamente l’imposta corrispondente alle cessioni di merci ed alle prestazioni di servizi; detto diritto viene meno nel caso di ogni imposta che non corrisponda ad un’operazione determinata, “perché è più elevata di quella dovuta per legge o perché l’operazione di cui trattasi non è soggetta all’IVA”.
In tali casi è necessario operare la rettifica della detrazione iniziale quando questa è superiore o inferiore a quella cui il soggetto passivo ha “diritto”, quando non corrisponde all’importo dell’imposta dovuta per legge, anche se coincide con l’importo dell’imposta indicata in fattura o in un documento che ne fa le veci.
Dal lato dell’utilizzatore della fattura un’annotazione di rilievo è contenuta in C-643/11 nella quale la Corte UE, nelle ipotesi di un’IVA indebitamente fatturata a causa della mancanza di un’operazione imponibile, evidenzia che, sempre che l’emittente della fattura non abbia rettificato la medesima, l’emittente ed il destinatario non devono necessariamente essere trattati in modo identico e le autorità fiscali non sono tenute ad organizzare sistematicamente le loro verifiche in modo che un avviso di accertamento in rettifica sia prima inviato a colui che ha emesso una fattura per poi attendere la sua definitività prima di procedere alla verifica sul destinatario della fattura.
Così la Corte UE nel precedente da ultimo citato conclude tale argomentazione nel senso che “né gli articoli 167 e 168, lettera a), della direttiva 2006/112 né il principio della neutralità fiscale ostano al diniego di detrarre l’IVA a monte nei confronti del destinatario di una fattura, a causa della mancanza di un’operazione imponibile, anche qualora, nell’avviso di accertamento in rettifica inviato a colui che ha emesso la fattura, l’IVA dichiarata da quest’ultimo non sia stata rettificata”[12].
[1] V. da ultimo Cass. n. 8589 del 16/03/2022 che, richiamando ampiamente sul punto la cornice giurisprudenziale e normativa recentemente delineata da Cass. n. 10439 del 21/04/2021, conclude affermando che “Collide con gli enunciati principi di diritto e non è conforme al quadro normativo sopra delineato la pronuncia della C.T.R. che ha riconosciuto il diritto della contribuente di detrazione dell’IVA per l’intero importo versato al cedente e indicato nelle relative fatture (20%), e non nei limiti dell’IVA dovuta (10%)”. V. altresì i precedenti richiamati Cass. n. 15178/2014, Cass. n. 8919/2020, Cass. n. 23817/2020, Cass. n. 23288/2018, Cass. n. 24289/2020 nonchè Cass. n. 10439/2021.
[2] V. la richiamata Ris. 23 luglio 2002 n. 247/E nella quale si legge che “… come si evince senza possibilità di dubbio dal disposto testuale della norma citata, il trattamento di non imponibilità si applica esclusivamente alle prestazioni di servizi rispondenti ai requisiti posti dalla norma medesima e non anche alle cessioni di beni”.
[3] V. anche la Ris. 31.3.2008 n. 118/E, in cui si è precisato che sono escluse dall’ambito applicativo del citato articolo 9, n. 6) le mere forniture di beni e servizi le quali non danno luogo agli interventi strutturali cui fa riferimento la predetta disposizione fiscale (rich. la Ris. n. 247/E del 23 luglio 2002).
[4] V. la Ris. Min. n. 465298 del 23.12.1991 e la risposta ad Interpello n. 95/E del 25.3.2020.
[5] V. le Ris. n. 118/E del 31.3.2008 e n. 226/E del 5 giugno 2008, nonché le Ris. n. 176/E del 23.11.2000 e n. 253/E del 14.9.2007.
[6] V. risposta ad Interpello del 7 luglio 2021 n. 467/E.
[7] V. in tal senso la Ris. Entrate n. 555004/93 la quale precisava che “…l’agevolazione di cui al citato art. 9 si rende applicabile esclusivamente per l’esecuzione dei lavori effettuati nei porti, aeroporti, etc. riflettenti direttamente il funzionamento e la manutenzione degli impianti già esistenti e non anche per le prestazioni sia pure ad essi connesse e propedeutiche, come ad esempio, nel caso prospettato, la progettazione o l’assistenza per la realizzazione delle opere. Dette prestazioni, pertanto, sono da assoggettare all’imposta a norma dell’art. 7, terzo comma, del citato DPR n. 633/72, in quanto assumono automa rilevanza e non possono invece considerarsi accessorie, ai sensi dell’art. 12 del medesimo DPR n. 633”.
[8] V. Cass. Ord. 28 ottobre 2020, n. 23817.
[9] V. Cass. n. 10439 del 21/04/2021; Cass. n. 24001 del 03/10/2018; Cass. n. 24289 del 03/11/2020; Cass. n. 9942 del 15/05/2015; Cass. n. 15178 del 02/07/2014; Cass. n. 17959 del 24/07/2013Cass. n. 15068 del 17/06/2013; Cass. n. 12146 del 26/05/2009; Cass. n. 11110 del 16/07/2003; Cass. n. 8959 del 05/06/2003; Cass. n. 4419 del 26/03/2003, Cass. n. 12756 del 02/09/2002; Cass. n. 8786 del 27/06/2001.
[10] V. CGUE C‑712/17, EN.SA., p. 26; C-642/11, Stroy trans, p. 38.
[11] V. CGUE, C-342/87, Genius Holding, p.to 13; C-454/98, Schmeink &, p.to 53; C-78/02, Karageorgou e al., p.to 50; C-536/03, Antonio Jorge, p.ti 24 e 25; C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken GmbH, p.to 23; C-643/11, LVK-56 EOOD, p.ti 34 e ss..
[12] V. LVK – 56 EOOD, C-643/11, p. 44 e ss.; v. anche Stroy trans EOOD, C-642/11, p. 44.