Esenzione IVA per l’assegnazione di azioni ai dipendenti delle società controllate.

Corte di Cassazione sentenza 11075/2023.

Non è ammessa la detrazione dell’IVA a monte, per assenza di corrispettività dell’attività economica ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, da parte di una società controllante che ha emesso azioni e ne ha trasferito il titolo alle società controllate sulla base di un contratto di mandato, al fine di assegnare le partecipazioni in favore dei dipendenti delle controllate del gruppo a titolo di retribuzione straordinaria, dal momento che tali “attività” rappresentano, per la norma interna di derivazione unionale, operazioni esenti che non consentono la detrazione d’imposta.

Il caso

Il caso in esame origina da una contestazione dell’Agenzia delle entrate della detrazione IVA operata per acquisti correlati alle operazioni di assegnazione di azioni, da parte di una società in qualità di controllante in favore dei dipendenti delle società controllate del gruppo, a titolo di retribuzione straordinaria.

Tale distribuzione di azioni nasceva da alcuni contratti di servizio stipulati tra la ricorrente (controllante) e le società controllate, per effetto dei quali la prima si era obbligata a distribuire azioni, dalla stessa emesse, direttamente ai dipendenti delle controllate e queste, a propria volta, si erano obbligate a corrispondere alla capogruppo un importo parametrato al valore delle azioni al tempo della loro assegnazione.

Ritenendo l’esistenza di un sinallagma (corrispettività) che valorizzasse l’assoggettamento ad IVA dell’operazione di distribuzione delle azioni a fronte del pagamento degli importi ricevuti dalla controllante da parte delle controllate, in quanto ritenuti remunerativi di una prestazione resa dalla società capogruppo, quest’ultima decideva di operare la relativa detrazione dell’IVA a monte.

L’Agenzia delle entrate, di opposto parere, notificava alla controllante un accertamento con il quale riprendeva a tassazione l’IVA detratta per gli acquisti correlati alle operazioni di assegnazione delle azioni operate dalla suddetta società, ricollocando l’operazione di distribuzione tra quelle esenti di cui all’art. 10, comma 1, n. 4), del DPR IVA n. 633/1972, con correlata indetraibilità dell’IVA assolta a monte per effetto dell’art. 19, c. 2, dello medesimo decreto, irrogando le conseguenti sanzioni.

I Giudici di II° accoglievano l’appello dell’Ufficio condividendo l’appartenenza delle operazioni tra quelle esenti a motivo del fatto che l’art. 10, c. 1, n. 4), del decreto IVA, “non consentiva di circoscrivere la portata della norma alle operazioni meramente finanziarie, sia in quanto il corrispettivo versato dalle società controllate, poichè determinato in base al valore delle azioni trasferite ai dipendenti delle controllate, non aveva riguardo ad una presunta attività svolta dalla controllante ma al mero controvalore delle azioni cedute”.

Le argomentazioni della Cassazione   

La Corte, qui, rigetta le argomentazioni della ricorrente, tese a valorizzare l’inclusione delle operazioni poste in essere tra le generiche prestazioni di servizi, soggette ad IVA ai sensi dell’art. 3 del decreto di riferimento, la quale sosteneva che mediante la stipula degli accordi tra controllante e le controllate, la prima “aveva assunto l’obbligo di gestire ed implementare un piano di remunerazione del personale dipendente delle controllate a fronte di un corrispettivo contrattualmente pattuito, sicché non si era obbligata alla mera assegnazione a titolo gratuito delle azioni dalla stessa emesse, ma aveva, invece, svolto tutte le ulteriori attività necessarie per l'adempimento dell'obbligo”, di qui l’esecuzione di un servizio da remunerare.

Per la ricorrente, in altre parole, da un’interpretazione letterale del contratto sottoscritto con le controllate, doveva ipso facto evincersi che la volontà delle parti, sulla base della quale la ricorrente non si sarebbe limitata ad una mera assegnazione a titolo gratuito bensì avrebbe svolto “tutte quelle attività necessarie per adempiere l'obbligo assunto con i Service Agreement”, fosse intesa a regolare esclusivamente una prestazione di servizi e non anche di scambiare azioni.

Del resto, evidenzia qui la Corte, dall’accordo negoziale emerge l’iniziativa della ricorrente di assegnare gratuitamente a tutti i dipendenti proprie azioni e che tale diretta assegnazione delle azioni emesse dalla ricorrente in favore dei dipendenti avrebbe avuto luogo nell’interesse delle società controllate, ciò ad ulteriore sostegno dell’assenza di corrispettività valido ai fini dell’emersione IVA.

L’infondatezza del primo motivo di ricorso è stata sostenuta, da parte della Corte, affermando altresì l’esclusione di una prestazione di servizi sulla base dell’assegnazione delle azioni al loro mero controvalore, nonché condividendo la riqualificazione giuridica del rapporto contrattuale operata dal giudice di merito, secondo il quale il contratto era, in sostanza, da ricondurre ad un rapporto di mandato a cedere azioni in favore dei dipendenti delle controllate, con conseguente riconducibilità della fattispecie nell’ambito del combinato disposto di cui all’art. 10, c. 1, n. 4), e n. 9), DPR 633/1972 (quindi in esenzione), piuttosto che ad una prestazione generica di servizi (imponibile).

Da parte della società ricorrente, in merito al n. 4) dell’art. 10 del decreto IVA, vi è stata una lettura “restrittiva” delle norme in materia di agevolazione, contestando l’approccio del giudice di merito che aveva ritenuto che tale norma potesse applicarsi “estensivamente”, ovvero oltre il suo specifico ambito di applicazione che è relativo alle “sole ipotesi di negozi giuridici che hanno come loro effettivo scopo l’investimento ed il disinvestimento azionario effettuato mediante il trasferimento di titoli azionari”.

La Cassazione, viceversa, ha condivisibilmente sostenuto che la norma richiamata, riferendosi alle “operazioni relative ad azioni”, ha un contenuto “sufficientemente ampio da ricomprendere diverse prestazioni che concorrono alla realizzazione di operazioni, il che postula che, ove, come nel caso di specie, un soggetto, qual è la ricorrente, ha emesso azioni e ne ha trasferito la titolarità in favore dei terzi sulla base di un rapporto di mandato, conferito dalle controllate, si è pur sempre dinanzi ad una prestazione che ha ad oggetto un'operazione relativa ad azioni, posto che implica, come accertato dal giudice del gravame, un mutamento nella titolarità dell'azione attraverso il passaggio dall'emittente al terzo beneficiario dietro il pagamento di un corrispettivo”.

I principi espressi dalla Corte di giustizia UE

L’interpretazione qui data dalla Corte di Cassazione appare conforme a quella sostenuta nel tempo, in argomento, dalla costante giurisprudenza della Corte di giustizia UE che ha valorizzato l’assenza dei requisiti di un’attività economica ai fini IVA nella mera detenzione e vendita di titoli negoziabili.

La lettura qui data della Cassazione appare del resto conforme rispetto alla normativa unionale di riferimento (come anche interpretata dalla Corte UE) rappresentata dall’art. 135, par. 1, lett. f) della Direttiva IVA 2006/112, ai sensi della quale gli Stati membri esentano “le operazioni, compresa la negoziazione ma eccettuate la custodia e la gestione, relative ad azioni”.

L’attività della controllante, a ben vedere, sembra piuttosto combaciare con quella di una classica holding pura (ovvero statica) la quale si limita alla gestione delle controllate senza porre in essere alcuna reale ed effettiva attività economica (che evidenzi un nesso diretto tra operazioni a monte e quelle a valle), da interpretare non già secondo i canoni civilistici interni (al singolo Paese membro), come invece sostenuto dalla ricorrente valorizzando solo il “contenuto degli accordi negoziali”, bensì, ai fini IVA, secondo i differenti criteri unionali (sostanziali) come decifrati dalla Corte UE.

L’assenza di un nesso diretto (o sinallagma o corrispettività), del resto, sembrerebbe evincersi proprio dalla narrativa della sentenza in commento, nella quale si legge che “secondo l'assunto di parte ricorrente, mediante la stipula degli accordi tra la società controllante e le controllate, la prima aveva assunto l'obbligo di gestire ed implementare un piano di remunerazione del personale dipendente delle controllate a fronte di un corrispettivo contrattualmente pattuito, sicché non si era obbligata alla mera assegnazione a titolo gratuito delle azioni dalla stessa emesse, ma aveva, invece, svolto tutte le ulteriori attività necessarie per l'adempimento dell'obbligo, procedendo, in tal modo, all'esecuzione di una generica prestazione di servizi”.

Da qui, a prima vista, non sembra esservi traccia alcuna di una effettiva attività economica (o interferenza diretta della controllante) che potesse sostenere, ab origine, il diritto della controllante, a monte, di poter operare la detrazione IVA sugli acquisti.

La Corte UE, in argomento, si è espressa in numerosi precedenti, sostenendo che, ai fini dell’individuazione del diritto a detrazione IVA in capo alle holding, è necessaria, alla luce della particolarità della struttura stessa di tali soggetti, un’analisi analitica caso per caso che possa consentire tanto di escludere lo svolgimento di un’effettiva attività economica perché magari esercitata sulla base di una struttura organizzativa “leggera” quanto di includerla in tutti quei casi in cui la holding esprime effettivamente “un’interferenza nella gestione della sua controllata”.

Si ricorda che l’attività economica è assente nelle c.d. “holding pure” (di mera gestione), le cui attività si “limitano” all’acquisto ed alla detenzione di quote di società nonché all’esercizio dei relativi diritti di azionista, ed è invece rintracciabile nelle c.d. “holding miste”, le quali svolgono altresì (anche) proprie attività di produzione e/o di scambio di beni e servizi.

Per costante giurisprudenza della Corte UE, le operazioni relative ad azioni, quote societarie, obbligazioni o altri titoli, aventi ad oggetto il loro mero acquisto, detenzione o assunzione di partecipazioni finanziarie in altre imprese, non costituisce sfruttamento di un bene (assenza di attività economica) al fine di trarne introiti che abbiano carattere stabile, dal momento che la percezione dell’eventuale dividendo, frutto della partecipazione, discende dalla mera proprietà del bene e non costituisce il corrispettivo di nessuna attività economica ai sensi della Direttiva IVA.

Tali “attività”, quindi, in base alla norma unionale, non attribuiscono all’interessato la qualità di soggetto passivo, in assenza della corrispettività quale caratteristica principale dell’imposta, “dal momento che il mero acquisto e la mera vendita di altri titoli negoziabili non possono costituire lo sfruttamento di un bene volto alla produzione di introiti di carattere stabile, dal momento che l'unico reddito risultante da tali operazioni è costituito dall'eventuale profitto al momento della vendita di tali titoli”, con conseguente esclusione del diritto a detrazione.

Analogamente, ribadisce la Corte UE, se l’assunzione di partecipazioni finanziarie in altre imprese non costituisce di per sé un’attività economica ai sensi della detta Direttiva IVA, lo stesso vale per le operazioni che consistono nel cedere tali partecipazioni.

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