Definizione della presunzione di “trasporto” e luogo di tassazione delle cessioni B2C intra-UE alla luce della sentenza C-276/18 della Corte di Giustizia.
Individuazione dei criteri di collegamento tra cessione e trasporto dei beni intra-UE.
Con la sentenza in epigrafe (causa C-276/18) la Corte europea ha affrontato una controversia tra una società di diritto polacco ivi stabilita (la Krak VeT) ed il Fisco ungherese, in relazione al pagamento dell’IVA sulle vendite di alimenti per animali domestici, effettuate nel corso dell’anno 2012 mediante il portale web della società citata, nei confronti di acquirenti persone fisiche situate in Ungheria.
All’atto della cessione, la società venditrice polacca dava la possibilità ai propri clienti (nei fatti di causa ungheresi) di stipulare il contratto di trasporto con società differenti dalla propria, comunicando l’elenco di vari trasportatori polacchi tra i quali figurava una società (la KBGT), anch’essa terza rispetto al fornitore (anche se a questa collegata commercialmente come riportato in sentenza), che offriva il traposto a prezzi di gran lunga inferiori a quelli in comune commercio.
In tal modo il fornitore, sdoppiando di fatto l’operazione (cessione e trasporto), tendeva a bypassare l’art. 33 della Dir. IVA allora in vigore che imputava la tassazione nello Stato di destinazione dei beni ceduti nelle ipotesi in cui questi venivano “spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto” per poter “attrare” l’imposizione nello Stato di partenza (Polonia) che vantava un’imposta sui consumi significativamente più bassa di quella dello Stato di arrivo (Ungheria).
La Corte, in tal modo, ha dovuto decodificare ed inquadrare i caratteri del trasporto in oggetto e chiarirli anche alla luce del novellato art. 14 (par. 4) della Dir. IVA ad opera della Dir. 2455/2017 (non applicabile ratione temporis) che ha introdotto la presunzione, a partire dall’1.1.2021, per la quale si intende per “vendite a distanza intracomunitarie di beni”, le cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto, anche quando il fornitore interviene indirettamente nel trasporto o nella spedizione dei beni, a partire da uno Stato membro diverso da quello di arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente”.
L’oggetto del rinvio riguardava l’interpretazione degli artt. 33 della Dir. 2006/112 e degli artt. 7, 13 e da 28 a 30 del Reg. 904/2010 in materia di cooperazione amministrativa e lotta contro le frodi Iva.
Per maggiore chiarezza si specifica che l’intervento della Corte aveva ad oggetto due questioni, una delle quali non affrontate in questo contributo, ovvero se, a norma degli artt. 7, 13, 28, 29 e 30 del Reg. 904/2010 che istituisce un sistema comune di cooperazione amministrativa tra le autorità competenti degli Stati finalizzato alla lotta contro la frode in materia di IVA, l’Amministrazione fiscale di uno Stato membro (nel caso de quo quella ungherese) era legittimata o meno ad operare un prelievo/rettifica, anche qualora il Fisco dello Stato di stabilimento del soggetto passivo fornitore, avesse riconosciuto la liceità della condotta e la correttezza, in termini finanziari, dell’auto liquidazione dell’imposta operata dal fornitore, e se, in dette circostanze era legittimo il diritto al rimborso da parte del soggetto passivo dell’imposta pagata in eccesso (nel caso, richiesto al Fisco ungherese).
Al riguardo, per inciso, la Corte conclude (v. punti 40, 48, 49, 50, 52 e 53 della sentenza) nel senso che “il Reg. 904/2010 non stabilisce né un obbligo che imponga alle amministrazioni finanziarie di due Stati membri di cooperare al fine di pervenire ad una soluzione comune quanto al trattamento di un’operazione ai fini IVA, né un requisito in forza del quale le autorità finanziarie di uno Stato membro sarebbero vincolate dalla qualificazione attribuita a tale operazione dall’amministrazione finanziaria di un altro Stato membro. ….. La Direttiva 112/2006 nonché gli articoli 7, 13 e da 28 a 30 del Reg. 904/2010 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’amministrazione finanziaria di uno Stato membro possa, unilateralmente, assoggettare alcune operazioni ad un trattamento Iva diverso da quello, in forza del quale, sono già state oggetto di imposizione in un altro Stato membro”. Di conseguenza lo Stato membro interessato è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del diritto comunitario (punto 52 della sentenza).
Tornando agli aspetti che qui preme evidenziare, secondo il ragionamento della Corte, stante il criterio di tassazione a destino, al fine di individuare correttamente il “luogo di cessione delle vendite a distanza intracomunitarie di beni” ai sensi dell’art. 33 della Dir. IVA, va indagato il ruolo ricoperto dal fornitore, per poter in ultima analisi collocare con certezza la tassazione nello Stato membro del destinatario acquirente persona fisica, solo qualora il primo abbia rivestito un ruolo preponderante quanto all’iniziativa e all’organizzazione della spedizione o del trasporto.
Questo in estrema sintesi il ragionamento della Corte.
In sostanza, le caratteristiche della qualità del servizio “spostano” la tassazione nello Stato di partenza piuttosto che in quello di destinazione, ancorando il trasporto nel primo Stato membro, nel caso di “scissione” reale e non meramente abusiva delle due operazioni, con conseguente tassazione nel territorio del fornitore, piuttosto che nello stato di destino nei casi, frequenti, di cessione dei beni con contestuale trasporto.
Alla luce dell’art. 33 della Dir. IVA vigente ratione temporis “1. In deroga all’articolo 32, è considerato luogo di una cessione di beni spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto, a partire da uno Stato membro diverso da quello di arrivo della spedizione o del trasporto, il luogo in cui i beni si trovano al momento d’arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente”.
Il problema trae origine dall’aumento esponenziale, negli anni, del commercio elettronico online facilitato da un sempre più facile ed immediato accesso alle reti da parte dei potenziali acquirenti.
Prova né è che la stessa Dir. 2455/207, al considerando n. 6, afferma che “La realizzazione del mercato interno, la globalizzazione e i cambiamenti tecnologici hanno portato a una crescita esplosiva del commercio elettronico e, di conseguenza, delle vendite a distanza di beni, forniti da uno Stato membro all’altro e da territori terzi o paesi terzi alla Comunità.
Le disposizioni pertinenti delle direttive 2006/112/CE e 2009/132/CE dovrebbero essere adattate a tale evoluzione, tenendo conto del principio della tassazione nel luogo di destinazione e della necessità di proteggere il gettito fiscale degli Stati membri, al fine di creare pari condizioni di concorrenza per le imprese interessate e di ridurre al minimo gli oneri gravanti su di esse.
Il regime speciale per i servizi di telecomunicazione, i servizi di teleradiodiffusione o i servizi forniti per via elettronica da soggetti passivi stabiliti nella Comunità, ma non nello Stato membro di consumo, dovrebbe di conseguenza essere esteso alle vendite a distanza intracomunitarie di beni e un regime speciale analogo dovrebbe essere istituito per le vendite a distanza di beni importati da territori terzi o paesi terzi. Per determinare chiaramente la portata delle misure applicabili alle vendite a distanza intracomunitarie di beni e alle vendite a distanza di beni importati da territori terzi o paesi terzi è opportuno definire tali concetti”.
Per quel che qui interessa, il problema affrontato nello specifico dalla Corte in base alle norme allora vigenti, del tutto superato a partire dall’1.1.2021 per i motivi che più avanti vedremo, ha richiesto di verificare la presenza o meno di una presunta pratica abusiva da parte del fornitore polacco (v. punto 39 della sentenza), nel tentativo di questi di evitare la tassazione a destino, per l’evidente superamento della soglia individuata dallo Stato polacco al di là della quale si richiedeva l’identificazione nello Stato di Ungheria con conseguente tassazione ivi e corresponsione di un’aliquota IVA più alta rispetto a quella prevista nello stato di origine dei beni, tesa di fatto a sdoppiare l’operazione di vendita e così “sganciare” il trasporto dei beni dalla cessione dei medesimi.
Così facendo, nelle intenzioni del fornitore, la tassazione rimaneva allocata nel proprio Stato (la Polonia) e ciò per l’evidenza di due operazioni, una di vendita e l’altra, separata, di trasporto, ad opera di un soggetto “liberamente” scelto dall’acquirente (anche se collegato al fornitore).
La Corte, inoltre, “riconosce” l’assenza di evidenze (v. punti 88 e 89 della sentenza) che dimostrerebbero l’esistenza di una costruzione artificiosa (o abusiva) dell’operazione tali da ricondurre ad unicum lo sdoppiamento delle operazioni operato dal fornitore polacco e, quindi, la tassazione nello Stato ungherese di destino della merce.
Al riguardo la Corte, pur probabilmente sospettando l’esistenza di una pratica abusiva, ribadisce la libertà di scelta dei contribuenti di “allocare” le proprie attività in modo da ottenere un lecito risparmio fiscale ai fini IVA a fronte dell’assenza dell’armonizzazione delle aliquote UE (v. sentenza WebMindLicenses C‑419/14, punti 39 e 40) e sottolinea la necessità, in punto di fatto, di dimostrare la “costruzione meramente artificiosa” del rapporto tra fornitore e trasportatore per poter denunciare una pratica abusiva, la cui unica prova non può consistere nel “legame” tra i due soggetti (punti 93-95 in sentenza).
Al punto 54 della sentenza si legge che “il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 33 della dir. 2006/112 debba essere interpretato nel senso che, quando i beni venduti da un fornitore stabilito in uno Stato membro ad acquirenti residenti in un altro Stato membro sono inviati a questi ultimi da una società proposta da tale fornitore, ma con la quale gli acquirenti sono liberi di instaurare o meno un rapporto contrattuale ai fini di tale invio, tali beni debbano essere considerati spediti o trasportati «dal fornitore o per suo conto»”. Ai successivi punti 55 e 56 Corte osserva che l’art. 2 della Dir. 2455/2017 ha introdotto la presunzione di trasporto in capo al fornitore che è intervenuto direttamente, tuttavia conclude per la sua inapplicabilità ratione temporis.
Al fine di individuare un collegamento tra la cessione ed il trasporto, la Corte, dopo aver riconosciuto il Giudice di rinvio quale soggetto deputato ad individuare in punto di fatto l’eventuale connessione tra il fornitore ed il trasportatore (punti 64, 68, e 81 della sentenza), offre all’organo rimettente alcune chiavi di codifica della vicenda, in particolare nell’analisi: delle eventuali clausole contrattuali tra i due soggetti passivi, della traduzione del sito internet del fornitore in lingue straniere per facilitare le vendite all’estero, della circostanza che gli acquirenti si limitino o meno a confermare l’affidamento del trasporto e le sue modalità ad un soggetto indicato dal fornitore senza alcuna possibilità di scelta, della possibilità o meno di scelta del/i trasportatore/i direttamente sul sito internet del fornitore, dell’imputazione del rischio del trasporto in capo al fornitore piuttosto che al vettore per i costi connessi al risarcimento dei danni verificatisi durante tale spedizione o tale trasporto, ed infine delle modalità di pagamento della vendita qualora l’acquirente sia “formalmente vincolato” o meno da due contratti distinti di acquisto e di trasporto (punti 64, 66-69, 72-75, 77, 78 e 80 della sentenza).
La Corte conclude nel senso di ritenere, in base alle “informazioni” di cui dispone, circa l’unitarietà dell’operazione e l’applicazione dell’art. 33 della Dir. IVA per il “ruolo preponderante del fornitore quanto all’iniziativa ed all’organizzazione delle fasi essenziali della spedizione o del trasporto” di tali beni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare tenendo conto dell’insieme degli elementi della controversia di cui al procedimento principale.
In conclusione, alla luce del paragrafo 2 del nuovo art. 5-bis del reg. 282/2011 (in vigore dall’1.1.2021) si ritiene che il ragionamento seguito dalla Corte, in punto di fatto, possa essere d’aiuto per il futuro per decodificare quelle ipotesi di “sdoppiamento effettivo” tra l’operazione di cessione di beni e quella di trasporto, operate da soggetti “realmente” distinti tra loro, nei casi in cui vi sia un “reale disinteresse” del fornitore nelle operazioni di trasporto e/o spedizione dei beni da lui venduti.
A partire dall’1.1.2021, infatti, entreranno in vigore, per quel che qui interessa, le modifiche alla Dir. IVA ed al Reg. di esec. 282/2011 in tema di imputazione del trasporto, ad opera, rispettivamente:
dell’art. 2 della Dir. 2455/2017 che ha inserito il paragrafo 4 nell’art. 14 della Dir. 112/2006 che definisce il concetto di “vendite a distanza intracomunitarie di beni” come “le cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto, anche quando il fornitore interviene indirettamente nel trasporto o nella spedizione dei beni, a partire da uno Stato membro diverso da quello di arrivo della spedizione o del trasporto a destinazione dell’acquirente, quando sono soddisfatte le seguenti condizioni: a) la cessione di beni è effettuata nei confronti di un soggetto passivo o di un ente non soggetto passivo, i cui acquisti intracomunitari di beni non sono soggetti all’IVA a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, o di qualsiasi altra persona non soggetto passivo; b) i beni ceduti sono diversi da mezzi di trasporto nuovi e da beni ceduti previo montaggio o installazione, con o senza collaudo, da parte del fornitore o per suo conto”.
e dell’art. 1 lett. b) del la Reg. di esec. 2026/2019 che ha inserito l’art. 5-bis nel Reg. di esec. 282/2011 in base al quale “Ai fini dell’applicazione dell’articolo 14, paragrafo 4, della direttiva 2006/112/CE, i beni sono considerati spediti o trasportati da o per conto del fornitore, anche quando il fornitore interviene indirettamente nel trasporto o nella spedizione dei beni, in particolare nei casi seguenti: a) quando la spedizione o il trasporto dei beni è subappaltato dal fornitore a un terzo che consegna i beni all’acquirente; b) quando la spedizione o il trasporto dei beni è effettuato da un terzo, ma il fornitore assume la responsabilità totale o parziale della consegna delle merci all’acquirente; c) quando il fornitore fattura e riscuote le spese di trasporto dall’acquirente per poi trasferirle a un terzo che organizza la spedizione o il trasporto dei beni; d) quando il fornitore promuove con ogni mezzo i servizi di consegna di un terzo presso l’acquirente, mette in contatto l’acquirente e un terzo o comunica in altro modo a un terzo le informazioni necessarie per la consegna dei beni al consumatore. Tuttavia si considera che i beni non siano stati spediti o trasportati da o per conto del fornitore quando l’acquirente effettua egli stesso il trasporto dei beni o ne organizza la consegna con un terzo e il fornitore non interviene direttamente o indirettamente per effettuare la spedizione o il trasporto dei beni o per coadiuvarne l’organizzazione”.