Indetraibilità IVA per operazioni soggettivamente inesistenti nell’acquisto intra UE di autovetture.

IVA

Continua il disallineamento della Cassazione rispetto alla giurisprudenza unionale.

Cassazione, sentenza n. 19647 del 21/09/2020.

Con la sentenza in epigrafe la Cassazione ha affermato l’indetraibilità dell’IVA da parte del cessionario nei casi di acquisti di autovetture di provenienza comunitaria attraverso soggetti interposti che agivano in evasione totale di imposte ed in frode all’IVA comunitaria, privi di una struttura operativa, nonché in assenza della prova della buona fede da parte del cessionario.

La Corte ha fatto proprie le conclusioni del giudice di appello in merito all’indetraibilità dell’IVA in quanto la società ricorrente/cessionaria non aveva assolto l’onere di provare “il proprio non coinvolgimento nell’attività fraudolenta, provando di aver approntato una normale diligenza per non incorrere in una responsabilità comunque prevista anche per mera colpa”.

La Corte ha applicato erroneamente le “indicazioni” fornite negli anni dalla Corte di Giustizia, sostenendo che quest’ultima “ha affermato che, in tema di IVA, il diritto del contribuente alla relativa detrazione costituisce principio fondamentale del sistema comune Europeo, come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia (sentenze C-439/04 e C440/04, C-285/11, C-642/11), e non è suscettibile, in linea di principio, di limitazioni. Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, ove ritenga che il diritto debba essere negato attenendo la fatturazione ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, anche avvalendosi di presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, nella seconda ipotesi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si inseriva in una evasione commessa dal fatturante, fermo restando che, nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), detto onere può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale. Trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare … il giudice di appello ha ritenuto correttamente che la società dovesse dimostrare la propria buona fede, vale a dire di non essere stata in grado di sapere, nonostante l’uso della diligenza e professionalità mediamente esigibile da un operatore commerciale, che il soggetto al quale si rivolgeva non era il reale fornitore delle autovetture ma un soggetto-schermo, ed ha reputato, esprimendo un giudizio di merito, che tale prova non era stata fornita”.

La fattispecie analizzata dalla Corte di Cassazione rientra in quel disegno criminoso collegato alle frodi all’IVA e definita come frode carosello, la quale, nella sua versione più semplice, si realizza quando tra il cedente comunitario e l’operatore nazionale si interponga (o viene interposto) un altro soggetto passivo, il c.d. missing trader o cartiera, che non versi all’erario l’IVA addebitata in rivalsa all’effettivo destinatario dei beni (cessionario).

Il missing trader realizza la frode IVA appropriandosi dell’imposta addebitata in rivalsa al proprio cliente, che può anche agire in buona fede, inconsapevole della provenienza della merce (o più di rado del servizio) da soggetto diverso rispetto al cedente/fatturante.

La conseguenza della frode comporta:

a) il mancato versamento dell’imposta da parte del missing trader;

b) la detrazione dell’IVA da parte dell’acquirente;

c) il conseguente danno per l’erario.

La Corte di Cassazione, va detto, negli ultimi anni (v. ad es. Cass. n. 13844/2020, Cass. n. 27566/2018, Cass.  n. 17818/2016) ha fatto proprie le argomentazioni fornite negli anni dalla Corte UE (ad es. C-354/03, C-439/04, C-80/11, C-277/14, C-285/11, C-374/16, C-6/16), evidenziando il rispetto del diritto di detrazione come requisito base del principio di neutralità dell’imposta e richiedendo in capo all’Amministrazione l’onere di dimostrare, per prima, la fittizietà del soggetto interposto in uno alla consapevolezza del cessionario di compartecipazione al designo criminoso (assenza di buona fede).  

La sentenza della Cassazione qui in commento non convince sia perché ha richiesto, di fatto, alla società di fornire, per prima, la prova della propria buona fede circa la sua ignoranza in merito alla natura di interponente del suo cedente, sia perché ha ritenuto sufficiente, dal lato dell’amministrazione, “dimostrare” la responsabilità del cessionario sulla base della mera assenza di “dotazione personale” in capo al cedente.

Detto approccio configura, di fatto, una vera e propria responsabilità oggettiva, traslando in capo al cessionario delle “circostanze” riferibili esclusivamente alla figura del cedente, nonostante la Corte UE abbia più volte ribadito (C-354/03 e C-4/94) il divieto, in capo all’erario, di analizzare la “reale volontà” del cedente in relazione all’operazione di vendita dei beni.

La Corte UE, nella causa C-354/03, al riguardo si è espressa  nel senso che “sarebbe in contrasto con i detti obiettivi (garantire la certezza del diritto ed agevolare le operazioni) inerenti all’applicazione dell’imposta, l’obbligo dell’amministrazione fiscale, allorché deve accertare se una data operazione costituisca una cessione effettuata da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e un’attività economica, di tenere conto dell’intenzione di un operatore diverso dal soggetto passivo di cui trattasi, che intervenga nella stessa catena di cessioni e/o dell’eventuale natura fraudolenta, della quale il detto soggetto passivo non aveva e non poteva avere conoscenza, di un’altra operazione facente parte di tale catena, precedente o successiva all’operazione compiuta dal detto soggetto passivo”.

Nella causa Optigen C-354/03, inoltre, il VAT and Duties Tribunal di Londra aveva rigettato i ricorsi della società (cessionaria) disconoscendo il suo diritto al rimborso dell’IVA pagata a monte qualora un “operatore inadempiente, od un operatore che utilizza un numero IVA abusivo, è intervenuto nella serie delle cessioni, anche se l’operatore che chiede il detto rimborso non era in alcun modo coinvolto nell’inadempimento o nell’abuso del numero IVA contestati all’altro operatore, e non aveva conoscenza di essi, e quando le serie di cessioni in cui si inscrivevano gli acquisti e le vendite dell’operatore di cui trattasi facevano parte a sua insaputa di una frode di tipo «carosello» commessa da terzi”.

Al riguardo attenta dottrina (A. Giovanardi, Le Frodi IVA, pag. 85), in relazione ai motivi di rinvio dei giudici inglesi che avevano portato alla sentenza Optigen, ha parlato correttamente di un “processo di larvata soggettivizzazione della catena fraudolenta”.

Con argomentazioni simili si era espressa la medesima Corte UE nel precedente 80/11, punto 48, nel quale escludeva una traslazione automatica in capo al cessionario evidenziando che “l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario” (richiama C‑384/04 punto 32 e C‑271/06 punto 23).

Nel ragionamento del tutto erroneo sostenuto dalla parte pubblica nella causa Optigen, l’indempimento di un operatore (l’interposto) avrebbe colorato di sé, in senso negativo, tutti i singoli passaggi dei beni tra i vari operatori, anche quelli effettuati nei confronti dei soggetti ignari della frode ed a prescindere dalla loro buona fede o da alcun tentativo di prova contraria.

Le conclusioni della Corte UE nella causa Optigen (v. anche C-277/14 e C-18/13) sono state nel senso di prescindere dall’attività criminosa del soggetto interposto, ritenendo “irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di dedurre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario” (v. C-277/14 punto 39).

Nella visione della Corte UE un eventuale inadempimento del fornitore dei beni, circa l’obbligo di dichiarare l’inizio della sua attività imponibile, di depositare una dichiarazione fiscale e di pagare l’IVA, “non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del destinatario dei beni ceduti per quanto riguarda l’IVA pagata per essi”.

Il destinatario deve beneficiare del diritto a detrazione anche qualora il fornitore di beni sia un soggetto passivo che non è registrato ai fini dell’IVA, qualora le fatture relative ai beni ceduti presentino tutte le informazioni richieste dalla Direttiva IVA (C‑438/09 e C‑324/11).

Nonostante lo sforzo della Corte UE di garantire la detrazione al fine della neutralità dell’imposta, si evidenzia, però, l’evidente contraddizione logica nella misura in cui se da un lato si fa divieto all’erario di indagare circa la reale volontà del soggetto passivo, dall’altro si chiede alla medesima parte pubblica di provare, in primis, l’ignoranza del disegno criminoso creato dal missing trader, in un cortocircuito di difficile utilizzo pratico (id est 4/94 e 439/04).

Nel precedente n. 13844/2020 la Cassazione, correttamente, ha evidenziato in capo all’Amministrazione l’onere di provare: a) l’alterità soggettiva dell’imputazione delle operazioni (il soggetto formale non è quello reale); b) il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione IVA: non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente, e necessario, che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole.

Fornita tale prova della parte pubblica sarà onere del contribuente dimostrare “l’esistenza” del suo cedente nonché la propria buona fede (Cass. SS.UU. 21105/2017) “di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a farne insorgere il sospetto”.

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