L’imposizione IVA nelle ipotesi di distacco di personale nell’interpretazione della Corte di Giustizia (causa C-94/19 del 11.3.2020).
L’Iva nel distacco di personale: tra norma interna ed unionale.
Il commento intende analizzare la nozione di “distacco di personale” entro uno Stato membro UE quale prestazione imponibile ai fini Iva – secondo la Corte di Giustizia (sentenza 11.3.2020, causa C-94/19) – nonché il rapporto tra onerosità della prestazione e corrispettività delle controprestazioni ai fini IVA.
Secondo la sentenza in esame (pubblicata in data 11 marzo 2020 resa nella causa C-94/19 – San Domenico Vetraria SpA), l’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’IVA i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della prima, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.
La Corte Ue, rispondendo alla domanda se fosse o meno imponibile ad IVA la prestazione di servizi avente ad oggetto il distacco/prestito di personale, all’interno di uno Stato membro, per la cui remunerazione la società distaccataria ha riconosciuto alla distaccante il solo importo del costo del personale distaccato, nonché gli oneri fiscali e previdenziali, nel richiamare alcuni suoi precedenti in materia, ha concluso per l’imponibilità ad IVA della prestazione di servizi, la cui ricorrenza in concreto andrà valutata dal giudice del rinvio che dovrà verificare l’esistenza di quel “vantaggio/scambio” nelle controprestazioni (in termini economici) che più avanti si vedrà.
La Corte ha poi ribadito l’indifferenza della natura della prestazione ricevuta dal distaccante (rimborso spese) al fine di qualificare ed attrare l’operazione nel campo di imponibilità dell’IVA.
Come si vedrà nel prosieguo, l’errore prospettico inaugurato con il comma 35 dell’art. 8 della legge 67/1988[1], confermato anche dalle Sezioni Unite della Corte[2], che stabiliva automaticamente il non assoggettamento ad IVA (per mancanza del presupposto oggettivo) nei casi in cui la remunerazione del distacco di personale, in capo al distaccante, equivaleva ad una somma esattamente pari alle spettanze retributive nonché agli altri oneri previdenziali, assistenziali ed assicurativi gravanti in capo al distaccante (quale rimborso spese), è stato quello di disapplicare tout court il criterio della corrispettività, per renderlo, in maniera erronea, automaticamente applicabile solo nelle ipotesi in cui il “corrispettivo” riconosciuto alla società distaccante fosse inferiore o maggiore del costo del personale oggetto del distacco.
Punto di partenza, per gli importanti risvolti ai fini civilistici (rectius: contrattualistici) che assume la vicenda (ovvero la necessaria futura revisione dei contratti di distacco di personale qualificati non soggetti ad Iva ma d’ora in avanti imponibili), è l’inquadramento civilistico dell’istituto del distacco o prestito di personale, caratterizzato da brevità e assenza di definitività del rapporto giuridico oltreché dalla permanenza della titolarità del rapporto di lavoro in capo alla società distaccante ai fini contrattuali e retributivi e dall’identità della prestazione di lavoro che deve rimanere identica a quella originaria, permanendo quindi tra distaccante e lavoratore i vincoli obbligatori e di potere-soggezione.
Altra evidenziazione riguarda le ipotesi di distacco di personale e la loro distinzione da quelle di somministrazione di manodopera, disciplinate da differente normativa, laddove il distinguo[3] attiene, nelle prime, alla riconducibilità dell’interesse in capo al distaccante piuttosto che all’utilizzatore il quale (il primo) soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata, mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione a fini di lucro.
Come descritto in dottrina[4], il distacco o prestito di personale, consiste nel potere del datore di lavoro distaccante il quale, nei limiti dei propri poteri direttivi e compatibilmente con le finalità imprenditoriali perseguite, pone il proprio lavoratore a disposizione e sotto la direzione di un altro soggetto imprenditoriale (soggetto passivo iva) affinché le mansioni vengano svolte non già nei confronti del distaccante bensì del distaccatario.
Come evidenziato in dottrina[5] il distaccante sostiene i costi relativi al personale distaccato in nome proprio e non già, invece, in nome del distaccatario, sicché il corrispettivo versato per il prestito di personale non potrebbe essere considerato alla stregua di un rimborso a fronte di un’anticipazione fatta in nome e per conto della controparte, così come precipuamente richiesto dal dato normativo (articolo 15, comma 1, numero 3, Dpr 633/1972).
Perché ricorra l’ipotesi del distacco/prestito di personale occorre, inoltre, che vi sia un preciso interesse del distaccante (soggetto pubblico o privato) a traslare il potere di direzione del lavoratore distaccato in capo al distaccatario, permanendo, in capo al primo, il rapporto di lavoro originario sottostante, con conseguente obbligo del primo al versamento degli emolumenti e degli oneri fiscali e previdenziali[6].
Il requisito dell’interesse, per quel che qui rileva, viene evidenziato nell’art. 30 del d.lgs. 10.9.2003 n. 276 (attuativo della c.d. Riforma Biagi l. delega 30/2003), il cui primo comma testualmente dispone che “1) L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. 2) In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore”.
Caratteristiche essenziali dell’istituto del distacco/prestito di personale sono la compresenza dei seguenti elementi:
a) l’esecuzione da parte del lavoratore delle medesime mansioni presso il distaccatario piuttosto che presso il distaccante;
b) la temporaneità, nel senso di non definitività, dello svolgimento delle predette mansioni;
c) l’interesse del datore di lavoro distaccante ad impiegare il proprio dipendente (o un lavoratore autonomo con il quale ha sottoscritto un contratto) presso un altro soggetto;
d) la traslazione del potere di direzione di cui all’art. 2104 c.c., in relazione al lavoratore distaccato, dal distaccante al distaccatario;
e) l’esistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, pena la nullità del distacco/prestito per incompatibilità con l’art. 2103 c.c..
In merito all’interesse del distaccante, è stato correttamente osservato in dottrina[7] che il requisito in questione differenzia l’istituto del distacco da quello della somministrazione di lavoro o manodopera, il quale soggiace ad una diversa disciplina normativa ed esprime, di fondo, il solo interesse produttivo del somministratore alla somministrazione a fini di lucro, laddove, invece, “il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata”[8].
La distinzione, ai fini IVA, è rilevante, dal momento che se entrambe le operazioni possono essere ricondotte nel genus delle prestazioni di servizi, solo quelle di somministrazione sono sempre soggette ad IVA, anche se sul solo margine del somministratore[9], viceversa le ipotesi di distacco, per i soli casi in cui è rimborsato il solo costo del personale, hanno goduto del non assoggettamento ad Iva previsto dalla normativa, per assenza dell’elemento oggettivo.
La norma di riferimento nel caso de quo, da cui origina l’intervento della Corte UE in commento, è l’art. 8 della Legge n. 67 dell’11 marzo 1988, n. 67 (finanziaria per il 1988), il cui comma 35 dispone che “non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato il solo rimborso del relativo costo”.
La finalità del non assoggettamento ad imposta è stata ricondotta[10], lato distaccante, all’ottenimento di un’utilità derivante da un’ottimizzazione delle proprie risorse umane pur senza il conseguimento di alcun margine operativo.
Inquadrato brevemente l’istituto dal punto di vista normativo, si ritiene utile una ricostruzione filologica della vicenda che ha portato alla sentenza della Corte UE in commento.
Un primo intervento in merito all’esatta qualificazione del distacco di personale, ai fini IVA, lo si fa risalire alla prassi[11] che, intervenuta a chiarire circa l’imponibilità o meno ad IVA dei prestiti di personale fra società collegate nel settore assicurativo, nell’ipotesi in cui la distaccataria rimborsava alla distaccante il solo importo delle retribuzioni corrisposte ai dipendenti unitamente ai contributi previdenziali ed assistenziali, concludeva per la non applicazione del tributo sulla circostanza che, in quanto operazioni infragruppo, non si potesse parlare di corrispettivo bensì di un “semplice rimborso spese” ed a condizione che l’importo riconosciuto dalla committente non eccedesse il costo del lavoratore distaccato.
Le conclusioni della prassi si fondavano su un’interpretazione letterale dell’art 3 del dpr 633/1972 che, nonostante ricollegasse l’imponibilità di una prestazione di servizi alla corresponsione di un corrispettivo, era ritenuto inapplicabile per la natura di “semplice rimborso” del costo del personale.
A distanza di anni, però, il netto cambio di orientamento dell’amministrazione finanziaria[12], che riqualificava “correttamente” le operazioni di distacco/prestito di personale quali operazioni imponibili IVA dando una lettura euro-orientata della natura di corrispettivo, probabilmente aiutata anche dal novellato art. 7 del DPR 633/72 (modifica intervenuta a partire dal 1.4.1979) che – avendo ricompreso, tra le operazioni soggette ad IVA, anche quelle di prestito di personale, ed a prescindere dall’importo (maggiore, inferiore o uguale) del costo del lavoratore riconosciuto e remunerato al distaccante – imponeva un intervento normativo chiarificatore.
Di tal modo il legislatore introduceva, con norma di interpretazione autentica, l’art. 8 comma 35 della legge 67/1988 che sterilizzava l’IVA e perimetrava l’inapplicabilità del tributo ai soli casi di corrispondenza tra il corrispettivo pattuito ed il costo del lavoratore distaccato, facendo sorgere, però, tra i tanti dubbi, quello di poter considerare non assoggettate ad Iva, paradossalmente, ogni operazione di prestazione di servizi resa al mero costo[13].
A partire dalla novella legislativa si assisteva ad interventi giurisprudenziali e di prassi, tra di loro coerenti in relazione al chiaro dettato della norma, ma contraddittori rispetto alle “indicazioni” interpretative che, anno dopo anno, giungevano dal Lussemburgo.
La non applicazione dell’imposta veniva così sostenuta dall’Amministrazione finanziaria con la Risoluzione 152/1995, purché a) il personale distaccato fosse legato da rapporto di lavoro dipendente con il distaccante, b) il distaccatario corrispondesse il solo costo del personale prestato (la retribuzione e gli oneri fiscali e previdenziali). L’interpretazione di lì a poco venne confermata anche dalla Corte di Cassazione con sentenza 6 marzo 1996, n. 1788.
Ulteriori interventi di prassi si avevano con le Risoluzioni n. 262/2002 e 346/2002, con cui il Fisco ribadiva il non assoggettamento ad IVA qualora, rispettivamente, il personale prestato garantisse, alla Società che se ne avvaleva, le proprie prestazioni in posizione di effettiva subordinazione e le somme rimborsate fossero esattamente pari (né superiori né inferiori) al costo.
Tra gli interventi giurisprudenziali si segnalava una pronuncia della Corte di Cassazione[14] che giungeva a conclusioni illogiche anche in relazione alla novella interpretativa, stabilendo che “la pattuizione di un corrispettivo inferiore o superiore al costo globale dei dipendenti risultava, in definitiva, irrilevante dato che nei limiti di esso il distaccante non effettuava nessuna prestazione, per cui se fosse stato pattuito un rimborso pari od inferiore, il distaccatario non avrebbe dovuto pagarci l’IVA, mentre se fosse stata concordata una somma superiore sarebbe stato tenuto a farlo soltanto sulla parte eccedente il costo del personale distaccato”.
L’imponibilità non già dell’intero importo corrisposto bensì del solo “plus valore” comportava un’artificiosa scomposizione di un servizio unitario sul piano economico[15] e si poneva in contrasto nei confronti della consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia.
Seguiva di lì a breve l’intervento chiarificatore delle SS.UU. della Corte[16], che, riportando “ordine sul punto”, sottolineava il non assoggettamento ad IVA di quelle operazioni ove il “corrispettivo era pari al costo del lavoratore”, a motivo della neutralità dell’operazione in cui non vi fosse “un guadagno per il distaccante ma nemmeno un risparmio per il distaccatario, visto che, in caso contrario, non vi sarebbe ragione di riservarle un trattamento diverso dal normale”, confermando la sterilizzazione dell’imposta soltanto se la controprestazione del distaccatario consistesse nel rimborso di una somma esattamente pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante.
Si è così assistito, per anni, ad una convergenza interpretativa della parte maggioritaria della prassi e della giurisprudenza verso un’interpretazione letterale, anche se contraria alla giurisprudenza della Corte europea, dell’art. 8 comma 35 della legge 67/1988, qualificando come circostanza dirimente, ai fini esentativi, la sola ed esatta corresponsione delle somme, pagate dal distaccatario nei confronti del distaccante, pari al costo sostenuto per il lavoratore oggetto del distacco.
Con l’ordinanza di rinvio n. 2385/2019 alla Corte europea (che ha originato la sentenza della CGUE in commento), la Corte di Cassazione, dubitando dell’assenza dell’elemento oggettivo in relazione alla non applicabilità dell’IVA all’operazione di distacco a fronte del riconoscimento del mero costo del personale distaccato, ciò anche a causa di una presunta violazione del principio di neutralità dell’IVA in relazione al trattamento differenziato di due istituti tra loro molto simili quali il distacco e la somministrazione di manodopera[17], richiamando anche alcuni precedenti della Corte europea[18] che hanno ritenuto ininfluente, ai fini dell’onerosità di un’operazione, la circostanza che il prezzo pagato fosse inferiore, uguale o superiore al prezzo di costo, ha deciso di sospendere il giudizio e di rinviare alla Corte UE la questione pregiudiziale.
In termini puramente ricognitivi si riferisce che la vicenda italiana, oggetto della sentenza della Corte di Giustizia, trae origine dal distacco di un dirigente di una società controllante presso una propria controllata. I relativi oneri retributivi, previdenziali, assistenziali ed assicurativi, unitamente ai costi di distacco, erano fatturati alla controllata con esposizione dell’IVA, ciò che consentiva a quest’ultima di operare la detrazione dell’imposta.
L’Agenzia delle Entrate riqualificava l’operazione sostenendo il rimborso dei costi del personale un’operazione fuori campo IVA con conseguente disconoscimento della detrazione.
Circa la natura dell’operazione di distacco/prestito di personale, attenta dottrina[19] ha ricordato che la qualificazione del distacco di personale a favore di un soggetto passivo quale prestazione di servizi rilevante ai fini IVA era già prevista dalla Seconda Direttiva del Consiglio n. 67/228/CEE dell’11.4.1967, la si ritrova poi all’art. 9 della Sesta Direttiva del Consiglio n. 77/388/CEE del 17.5.1977 ed infine nell’odierno art. 59 lett. f) della Direttiva IVA n. 2006/112, laddove, da ultimo, l’operazione di messa a disposizione di personale è inserita nella norma che definisce il requisito territoriale delle operazioni soggette al tributo nei confronti di persone non soggetti passivi IVA fuori della Comunità.
Allo stesso modo, sul piano interno, la norma europea è stata traslata, tra le prestazioni di servizi, nell’art. 7-septies, comma 1, lett. e) del DPR 633/1972.
Inquadrate le operazioni di distacco/prestito di personale tra le prestazioni di servizi, la Corte di Giustizia si è preoccupata di rintracciare i caratteri dell’onerosità, declinati dall’art. 2 della Sesta Direttiva (identico contenuto l’art. 2 della Direttiva IVA) nonché ricercando la corrispettività tra le due controprestazioni.
Dal momento che la Direttiva IVA non dà una definizione espressa del concetto di onerosità, per individuare le operazioni attratte nel campo di imponibilità IVA, è necessario rifarsi al concetto di corrispettività contenuto nell’art. 73 della Direttiva IVA (art. 11 lett. A comma 1 della Sesta Direttiva) come interpretato dalla giurisprudenza eurounitaria.
È stato correttamente osservato[20] che i concetti di onerosità e corrispettività non sono sinonimi, i primi qualificando per esclusione i negozi giuridici non a titolo gratuito, i secondi, invece, implicando la presenza di un nesso sinallagmatico tra le prestazioni rese e ricevute, ben potendo accadere di trovarsi in presenza di un’operazione “onerosa” che manchi di corrispettivo, laddove, invece, non è ipotizzabile la presenza di un’operazione sinallagmatica priva di onerosità.
La presenza del sinallagma do aut facio ut des aut facias è fondamentale per ricondurre tra le operazioni imponibili le operazioni di servizi[21].
La giurisprudenza comunitaria[22] ha evidenziato, per poter configurare una prestazione di servizi rilevante ai fini dell’IVA, la necessità di un rapporto giuridico obbligatorio, minimo, una corrispettività, intesa quale interdipendenza giuridica tra le prestazioni, senza la quale, in assenza cioè di una causalità che lega reciprocamente le due controprestazioni, non viene in evidenza quel concetto di “scambio”[23], tanto caro alla giurisprudenza eurounitaria, bensì semplice coesistenza di prestazioni tra loro slegate, che di fatto privano l’operazione di quei caratteri richiesti dalla Corte Europea ai fini dell’imponibilità IVA.
Si può constatare, quindi, come evidenziato in dottrina[24], che alla sfuggente contrapposizione tra “onerosità” e “gratuità”, la normativa IVA, ma più in generale il diritto di matrice eurounitaria, prediligono le meno ambivalenti nozioni di “scambio” e “vantaggio”.
Affinché rilevi la corrispettività dell’operazione di prestazione di servizi o di cessione di beni, per la Corte europea devono ricorrere tre requisiti: un nesso diretto ovvero un legame causale tra le due controprestazioni, la possibilità di poter esprimere in danaro la controprestazione ricevuta ed infine che alla prestazione ricevuta possa essere attribuito un valore soggettivo poiché l’imponibile è il corrispettivo realmente ricevuto, non già un valore stimato secondo criteri obiettivi, quindi oggettivi[25].
In merito all’interconnessione tra le due controprestazioni, la Corte ha avuto modo di occuparsene in numerosi precedenti, nei quali è stata chiarita, a più riprese, la necessaria presenza di un sinallagma tra la prestazione di servizi ed il controvalore ricevuto, tale che le due obbligazioni siano intrinsecamente ed ontologicamente legate da un nesso di reciprocità[26].
Così, ad esempio, nel famoso precedente della Corte sul caso Tolsma (C-16/93) in cui si verteva dell’imponibilità dell’attività di suonatore ambulante di strada, la Corte escludeva l’esistenza di alcun nesso reciproco tra le due “prestazioni”, sia per l’assenza di un valore soggettivo dato all’offerta di danaro al suonatore da parte del passante (valore indecifrabile e casuale) sia per l’assenza di un nesso diretto di causalità (pago per cui ho diritto ad ascoltare un brano musicale ovvero suono perché mi stanno pagando per farlo)[27].
Riguardo la necessità di esprimere in danaro la prestazione ricevuta, fuori dai casi in cui la medesima viene ricompensata in danaro, interessanti sono le ipotesi in cui la Corte di Giustizia ha ragionato circa la riconducibilità ad IVA di prestazioni “pagate” in natura o con obbligazioni negative di non fare.
Ad esempio nel precedente Goldsmiths causa C-330/95, si discuteva della possibilità, per detta società, di operare la rettifica della propria dichiarazione IVA con conseguente istanza di rimborso, nell’ipotesi in cui detta società, a fronte della cessione di diamanti nei confronti della società RRI che “pagava” la prima mediante servizi pubblicitari, aveva ricevuto da quest’ultima un “pagamento” parziale dovuto alla messa in liquidazione della cessionaria. Il Commissioners del Regno Unito contestava il diritto al rimborso sulla scorta della natura “liquida” della controprestazione. La Corte, in applicazione dell’art. 11 della Sesta Direttiva, correttamente deduceva l’equivalenza del pagamento in natura a quello in danaro a motivo del fatto che la norma non distingue tra corrispettivo in denaro e corrispettivo in natura e che “le due fattispecie appaiono, dal punto di vista economico e commerciale, identiche”, per cui la Sesta Direttiva le riserva un trattamento equivalente[28].
In altri precedenti di rilievo, la Corte ha analizzato due ipotesi di controprestazioni realizzate mediante obblighi di non fare da parte di un imprenditore agricolo che si impegnava ad abbandonare la propria produzione lattiera (Mohr C-215/94) e la raccolta di patate (Landboden C-384/95) in corresponsione del pagamento di un’indennità pubblica. In entrambi i precedenti la Corte ha concluso per la non imponibilità delle operazioni dal momento che a fronte del corrispettivo versato dallo Stato faceva seguito un’obbligazione non implicante “consumo nell’accezione del sistema comunitario dell’IVA”[29].
In merito alla rilevanza del valore della prestazione ricevuta, la dottrina[30] sottolinea che non vi può essere un nesso diretto se il corrispettivo pagato dall’utente non dipende da fattori endogeni alla prestazione (ad esempio, numero di ore impiegate e/o grado di difficoltà della pratica), ma da fattori ad essa esogeni, quali sono, per l’appunto, i livelli di reddito e di patrimonio del beneficiario[31].
In quel precedente, intercorso tra la Commissione europea e la Repubblica di Finlandia, si discuteva dell’assoggettabilità ad IVA dei servizi di assistenza legale forniti dagli uffici pubblici di quello Stato nell’ambito di procedimenti giudiziari dietro pagamento di un compenso parziale, che non copriva l’intero importo degli onorari previsti per legge, parametrato però non già alla “qualità” del servizio pubblico reso al cittadino (in termini di ore effettivamente lavorate e di complessità delle questioni), bensì alla capacità reddituale del richiedente, di modo da rendere il compenso sì forfettario ma ancorato a parametri non più soggettivi bensì esterni (esogeni appunto).
La Corte ha avuto modo di occuparsi di ipotesi simili, in cui vi era una sorta di forfetizzazione della prestazione, non puramente esogena come nel precedente sopra richiamato[32], dai quali è emerso che l’idea di “scambio/vantaggio” (economicità) ai fini impositivi vada verificata e modulata volta per volta.
Il principio di economicità, però, non va decifrato in chiave quantitativa, ovvero in riferimento all’ammontare della controprestazione, bensì qualitativa, verificando se esiste la controprestazione come scambio del bene o del servizio ricevuto[33].
Tracce di questo assunto le si ritrovano, ad esempio, nella sentenza resa dalla Corte di Giustizia nella causa Lajvér Meliorációs C-263/15, avente ad oggetto opere di ingegneria rurale, realizzate da società commerciali senza scopo di lucro e finanziate per la gran parte con risorse dello Stato e dell’Unione europea, per le quali le medesime avrebbero percepito un canone di modesta entità per un periodo di otto anni. La Corte ha ritenuto che la percezione di quel canone, benché modesto, avesse il carattere della “stabilità” e per questo fosse attratto nell’alveo delle attività economiche corrispettive dato che “l’attività era esercitata al fine di ricavarne introiti aventi carattere di stabilità”[34].
Si aggiunga, per inciso, che le conclusioni raggiunte in tema di personale dipendente dalla sentenza in C-94/19 in commento, valgono analogamente per le ipotesi di “personale” autonomo, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella causa C-218/10.
In quel caso la Corte, seppur chiamata a dirimere circa un problema di corretta applicazione dell’IVA in termini di territorialità, aveva affermato che, nell’ipotesi in cui un fornitore ingaggiasse dei lavoratori (si trattava di autisti di autobus) e rivendesse/fatturasse il servizio ad un soggetto terzo con l’aggiunta di un’ulteriore margine tra l’8% ed il 20%, “la nozione di messa a disposizione di personale ricomprenderebbe parimenti la messa a disposizione di personale autonomo, non legato da rapporto di lavoro dipendente con l’impresa prestatrice”[35].
Si osserva l’assenza di precedenti, da parte della Corte di Giustizia, circa la tassabilità delle operazioni di distacco di personale tra società aventi sedi in due Stati membri differenti, al fine di chiarire la ricorrenza o meno della corrispettività delle prestazioni in oggetto[36].
La soluzione offerta dalla Corte nella sentenza in commento è coerente con le conclusioni raggiunte dalla stessa nei suoi precedenti in materia ed ha offerto ai giudici nazionali una chiave di lettura importante per le operazioni con analoghe caratteristiche, lasciando a questi ultimi l’applicazione pratica della regola enunciata.
In questo modo il giudice italiano sarà chiamato, lo si riconosce, al difficile e delicato compito di individuare l’esistenza di un nesso diretto tra il servizio reso e il controvalore ricevuto: solo in caso di reciprocità – cioè se prestazione e pagamento si condizionino reciprocamente (se l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa) – l’operazione di qualifica “servizio” ai sensi della norma unionale.
Il giudice del rinvio avrà l’arduo compito di decifrare e modulare, in chiave interna, la regola data dalla Corte, andando ad applicare un modello di lettura dell’imposta europea in chiave economica più che giuridica, verificando in concreto il peso, in termini di “vantaggio”, dato dalla distaccataria alla controprestazione effettuata nei confronti della distaccante.
Tale conclusione la si ricava dal punto 27 della sentenza in cui la Corte dispone che qualora “dovesse essere dimostrato – circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare – che il pagamento da parte della San Domenico Vetraria degli importi che le sono stati fatturati dalla sua società controllante costituiva una condizione affinché quest’ultima distaccasse il dirigente, e che la controllata ha pagato tali importi solo come corrispettivo del distacco, si dovrebbe concludere per l’esistenza di un nesso diretto tra le due prestazioni”.
In definitiva, una operazione è soggetta ad Iva se sussistono i seguenti elementi:
– viene erogato un servizio;
– viene pagato un corrispettivo;
– esiste un netto diretto tra servizio reso e controvalore ricevuto, a prescindere dal fatto che lo scambio reciproco sia lucrativo (è indifferente il risultato dell’operazione economica).
È proprio quest’ultimo requisito che dovrà essere individuato dal giudice nazionale.
Da ultimo si segnala un aspetto non oggetto di discussione nella sentenza in commento e relativo al diritto di detrazione IVA delle spese sostenute in relazione al personale oggetto di distacco, in relazione al quale la Corte di Giustizia ha avuto modo di occuparsi in alcuni precedenti[37] e di chiarire il diritto di detrazione IVA in relazione alle spese di personale sia proprio sia in distacco/prestito, a prescindere dalla circostanza della “qualità di datore di lavoro”, ovvero che si trattasse di datore effettivo o solo “economico”[38], purché le spese potessero essere “ricondotte” ad usi non estranei all’impresa[39].
[1] Norma di carattere speciale come interpretata anche da Cass. n. 14053/2012 e Cass. n. 13118/2012.
[2] V. Cass., sez. un., 7 novembre 2011, n. 23021.
[3] V. G. Mocci, E. Cintolesi, Contratto avente ad oggetto la fornitura di lavoro temporaneo: regime Iva applicabile al ribaltamento delle spese di trasferta del personale dipendente, in Fisco, 2001, 31, 10605-10608.
[4] V. L. Mazzuoccolo, Distacco di personale e lavoro temporaneo, in Corr. trib., 1999, 2; Beretta G., Sulla rilevanza ai fini iva dei rimborsi dei costi per il prestito o distacco di personale in Dir. e Prat. Trib. Int. 1/2019.
[5] V. F. Capello, Il distacco di personale secondo le Sezioni Unite e la compatibilità con le Direttiva Iva, in Dir. e prat. trib., 2013, 2.
[6] V. ex multis Cass. sez. lav. 8 settembre 2005 n. 17842.
[7] Beretta G., Sulla rilevanza ai fini iva dei rimborsi dei costi per il prestito o distacco di personale in Dir. e Prat. Trib. Int. 1/2019.
[8] V. Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Circolare 15 gennaio 2004, n. 3, secondo cui “ciò che differenzia il distacco dalla somministrazione, infatti, è solo l’interesse del distaccante. Mentre il somministratore realizza il solo interesse produttivo della somministrazione a fini di lucro, il distaccante soddisfa un interesse produttivo diversamente qualificato, come l’interesse al buon andamento della società controllata o partecipata”. Nello stesso senso Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, Circolare 24 giugno 2005, n. 28.
[9] Articolo 26-bis, legge n. 196/1997. Cfr. Beretta G., Sulla rilevanza ai fini iva dei rimborsi dei costi per il prestito o distacco di personale in Dir. e Prat. Trib. Int. 1/2019; in merito all’asimmetria tra le ipotesi esenti di distacco e quelle imponibili di somministrazione v. anche V. F. Delli Falconi, P. Maspes, La base imponibile Iva dei distacchi di personale: questione veramente chiusa?, in Fisco, n. 2014, 20; F. Ricca, Prestito o distacco di personale: l’Iva solo sull’extra costo, in L’Iva, 2010, 11.
[10] Secondo P. Puri, Riflessi tributari dell’introduzione del lavoro interinale in Italia Rass. trib., 1998, 5.
[11] Risoluzione del 05/07/1973 n. 502712; id. est ris. 1974 n. 500091, ris. 1974 n. 500160 e ris. 1981 n. 411847.
[12] Risoluzione n. 363853/1986.
[13] Come evidenziato da F. Ricca, Prestito o distacco di personale: l’iva solo sull’extra costo, in L’IVA, 2010, 11.
[14] V. Corte di Cassazione sentenza n. 19129/2010 che richiama la Ris. Min. 411847/1981.
[15] V. M. Mantovani, B. Santacroce, “Nei prestiti di personale il rimborso del costo del lavoro è sempre escluso da Iva?”, in Corr. Trib., 2010, 43, secondo i quali “la scomposizione dell’importo in una componente imponibile (superiore al costo) e una non imponibile (inferiore al costo) presenta caratteri di artificialità e non risulta invero ammissibile al lume di quanto affermato in tema di operazioni complesse dalla Corte di Giustizia”; v. anche CGUE causa C-111/05 Aktiebolaget NN.
[16] V. Cass. SS.UU. 23021/2011 le cui conclusioni sono successivamente ribadite da Cass. n. 14053/12, Cass. n. 13118/2012, Cass. n. 4511/2013, Cass. n. 23996/2013, Cass. n. 10513/2014 e Cass. n. 4024/2015.
[17] La Corte di Cassazione nell’ordinanza di rinvio n. 2385/2019 sospetta la violazione del principio di neutralità in quanto l’istituto della somministrazione di manodopera, avente anch’esso ad oggetto la messa a disposizione di personale – v. CGUE causa Go Fair Zeitarbeit OHG C-594/13 – differenziandosi dal distacco per la natura dell’interesse del distaccante, è sempre imponibile ad IVA; in tal modo si tratterebbero in maniera differenziata, secondo la Corte, due istituti uguali.
[18] Causa C-520/14 Gemeente Borsele nella quale si legge che “la circostanza che un’operazione economica venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante ai fini della qualificazione di tale operazione come «negozio a titolo oneroso». Quest’ultima nozione presuppone, infatti, unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazione di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo” – v., in tal senso, anche sentenze Apple and Pear Development Council C‑102/86, punto 12 e sentenza Hotel Scandic Gåsabäck C‑412/03 punto 22 nonché Lajvér, C-263/15, punto 45 e giuris. ivi citata.
[19] V. Beretta G., Sulla rilevanza ai fini iva dei rimborsi dei costi per il prestito o distacco di personale in Dir. e Prat. Trib. Int. 1/2019.
[20] V. M. Peirolo, Esclusa da iva l’assistenza legale ai non abbienti per carenza di nesso tra servizio e controvalore – nozione di «nesso diretto» tra servizio reso e controvalore ricevuto, in GT – riv. di giur. trib. n. 3/2010.
[21] V. P. Filippi, I profili oggettivi del presupposto dell’Iva, in Dir. e prat. trib., 2009, 6, 1199-1220.
[22] V. le seguenti sentenze della Corte di Giustizia: causa C-154/80 Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats; causa C-230/87 Naturally Yours Cosmetics; causa C-126/88 Boots Company; causa C-333/91 Sofitam; causa C-16/93 Tolsma; causa C-38/93 Glawe; causa C-33/93 Empire Stores; causa C-288/94 Argos Distributors; causa C-306/94 Régie Dauphinoise; causa C-80/95 Harnas & Helm; causa C-258/95 Fillibeck; causa Goldsmiths C-330/95; causa C-49/97 Kuwait Petroleum; causa C-260/98 Repubblica Ellenica; causa C-498/99 Town & County Factors Ltd; causa C-174/00 Kennemer Golf & Country Club; causa C-442/01 KapHag; causa C-305/01 MKG-Kraftfahrzeuge-Factoring; causa C-434/05 Horizon College; RCI Europe C-37/08; causa C-246/08 Repubblica di Finlandia; C-267/08 SPÖ Landesorganisation; Loyalty Management UK C‑53/09; C‑55/09 Baxi Group; causa C-93/10 GFKL Financial Services; causa C-549/11 Orfey Balgaria EOOD; causa C-283/12 Serebryannay; causa C-151/13 Le Rayon d’Or SARL; causa C-174/14 Saudaçor; causa C-463/14 Asparuhovo; causa C-520/14 Gemeente Borsele; causa C-11/15 Odvolací finanční ředitelství; causa C-263/15 Lajvér; causa C-37/16 SAWP; causa C-295/17 MEO Serviços.
[23] V. P. Filippi, I profili oggettivi del presupposto dell’Iva, in Dir. e prat. trib., 2009, 6, in cui l’Autrice evidenzia che “in relazione al rapporto tra il modello interno e quello eurounitario, il problema che si pone consiste dunque nel dover costruire un modello giuridico (e nazionale) di tributo – che tra diritto civile e categorie fiscali deve per forza mediare – derivandolo però da un modello (quello comunitario) che è pensato per soddisfare finalità economiche… Se, come già osservato, nella qualificazione di cessioni non rileva l’atto, ma l’effetto giuridico traslativo, nella definizione delle prestazioni è essenziale il riferimento ai contratti, e allo schema negoziale dello scambio (cessione di credito, di contratto, verso corrispettivo”.
[24] B. Denora, Rilevanza delle operazioni gratuite nell’ambito dell’imposta sul valore aggiunto e spunti ricostruttivi in tema di consumo, in Riv. dir. trib., 2013, 5; v. anche P. Filippi, Le cessioni di beni nell’imposta sul valore aggiunto, Padova, 1984, 79, secondo la quale, in ambito Iva, “sembra essersi accolta fiscalmente una concezione più complessa e sfumata di onerosità senza eccessive preoccupazioni dogmatiche”.
[25] V. al riguardo CGUE causa C-154/1980, Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats; v. anche A. Comelli, Il requisito dell’onerosità in relazione alle prestazioni di servizi, in Dir. e prat. trib., 1995, 2.
[26] V. A. Comelli, Il requisito dell’onerosità in relazione alle prestazioni di servizi, in Dir. e prat. trib., 1995, 2; v. anche le Conclusioni del 20.1.1994 dell’Avvocato Generale C. O. Lenz nella causa Tolsma per il quale “Punto 14 … Deve sussistere una connessione diretta tra il servizio prestato (nella specie, l’attività musicale) ed il controvalore ricevuto (nella specie, le oblazioni dei passanti). Tale connessione deve atteggiarsi in modo tale da potersi riscontrare un rapporto tra l’entità dei vantaggi arrecati ai destinatari del servizio prestato e l’entità del relativo corrispettivo”.
[27] V. anche sentenze C-154/80, Coöperatieve e C-102/86 Apple and Pear.
[28] V. causa C-230/87 Naturally Yours Cosmetics e causa C-33/93 Empire Stores.
[29] V. Sentenze CGUE, Mohr causa C-215/94 e Landboden causa C-384/95; v. P. Filippi, I profili oggettivi del presupposto dell’Iva, in Dir. e prat. trib., 2009, 6.
[30] V. M. Peirolo, Esclusa da Iva l’assistenza legale ai non abbienti per carenza di nesso tra servizio e controvalore – Nozione di «nesso diretto» tra servizio reso e controvalore ricevuto, in GT – Riv. di Giur. Trib. n. 3/2010.
[31] V. CGUE, Repubblica di Finlandia causa C-246/08.
[32] V. CGUE: Coöperatieve Aardappelenbewaarplaats causa C-154/80, Apple and Pear Devolopment Council causa C-102/86, Tolsma causa C-16/93, Kennemer Golf causa C‑174/00, causa C-11/15 Odvolací finanční ředitelství; causa C-263/15 Lajvér; causa C-295/17 MEO Serviços. Nel precedente Asparuhovo Lake Investment Company C-463/14, in relazione ai servizi ricevuti a fronte del pagamento di contributi annuali forfettari non legati al numero di prestazioni ricevute, si legge che “37. Nell’ambito rispettivamente della causa che ha dato origine alla sentenza Kennemer Golf (C‑174/00, e …. Le Rayon d’Or C‑151/13, la Corte ha già esaminato l’applicazione dell’IVA, da un lato, a un contributo annuale forfettario versato a un’associazione sportiva al fine di utilizzare impianti sportivi comprendenti un campo da golf e, dall’altro, a un versamento forfettario per servizi di cure a persone non autosufficienti. 38 … la Corte ha sostanzialmente statuito che, quando la prestazione di servizi di cui trattasi è caratterizzata, segnatamente, dalla disponibilità permanente del prestatore di servizi a fornire, all’occorrenza, le prestazioni richieste dal committente, non è necessario, per ammettere la sussistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e il corrispettivo ottenuto, stabilire che un pagamento si riferisce ad una prestazione individuale e specifica effettuata su richiesta di un committente. In entrambe le cause che hanno dato origine a tali sentenze sussisteva una prestazione di servizi imponibili, cui si riferiva il pagamento forfettario, a prescindere dal numero di prestazioni fornite e ricevute, nella fattispecie rispettivamente dal numero di volte in cui i campi da golf venivano utilizzati o dalla quantità di cure fornite. 39 La circostanza che le prestazioni non siano né predeterminate né individuali e che il compenso sia versato in forma di forfait non è neanch’essa tale da compromettere il nesso diretto esistente tra la prestazione di servizi effettuata ed il corrispettivo ricevuto, il cui importo è stabilito in anticipo e secondo criteri chiaramente individuati”.
[33] V. P. Centore, Il distacco di personale fra norma nazionale e comunitaria, in GT – Riv. giur. trib., 2012, 2. Al riguardo l’Autore correttamente ha evidenziato che “l’art. 9 della Dir. 2006/112/CE qualifica il soggetto passivo in dipendenza dell’operazione economica effettuata indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività. Dal che si intende che anche una controprestazione “in perdita” costituisce comunque lo scambio dell’operazione che, per l’effetto, diviene economica”.
[34] V. sentenza Rēdlihs, C‑263/11, nonché Finanzamt Freistadt Rohrbach Urfahr C‑219/12, Kennemer Golf C‑174/00 e SPÖ Landesorganisation Kärnten C‑267/08.
[35] V. P. Centore, Il distacco di personale fra norma nazionale e comunitaria, in GT – Riv. giur. trib., 2012,2 sottolinea che “La previsione normativa relativa alla «messa a disposizione del personale» non è limitata, quindi, ai dipendenti (ed al ribaltamento del relativo costo), ma involge anche il costo di un lavoratore autonomo, il cui ribaltamento è certamente soggetto ad imposta, in quanto al di fuori del perimetro della norma speciale” – comma 35 art. 8 legge 67/1988.
[36] V. CGUE, causa C-210/04 FCE Bank, nonché Beretta G., Sulla rilevanza ai fini iva dei rimborsi dei costi per il prestito o distacco di personale in Dir. e Prat. Trib. Int. 1/2019, secondo cui “La Corte di Giustizia non ha avuto modo di pronunciarsi intorno alla specifica questione se il riaddebito dei costi dei servizi forniti dalla sede principale di una società alla propria sede secondaria, ubicata in altro Stato Membro, costituisca o meno un corrispettivo ai fini iva e, dunque, se tale prestazione di servizi possa ritenersi effettuata “a titolo oneroso”, a prescindere dalla misura concreta del riaddebito nonché dal conseguimento di un utile d’impresa. Nel caso di specie, i giudici lussemburghesi hanno infatti ritenuto che la succursale in questione non costituisse un autonomo soggetto passivo rispetto alla casa madre, con il che nessuna prestazione poteva dirsi effettuata ai fini iva all’interno di un medesimo soggetto passivo e, dunque, omettendo altresì di pronunciarsi sulla questione specifica circa l’onerosità della prestazione di riaddebito”.
[37] V. sentenze C‑258/95 Fillibeck e C-124/12 AES; la differenza dei due casi attiene alla destinazione delle spese di personale, ai fini della detrazione IVA, dal momento che nel precedente C‑258/95 le spese riguardavano personale dipendente direttamente dalla società Fillibeck, viceversa nella causa C-124/12 si discuteva della detrazione dei medesimi costi di personale dipendente di una società terza distaccante.
[38] V. sentenza AES C-124/12 punto 23.
[39] V. sentenza Cantor Fitzgerald International C‑108/99, Stoppelkamp C‑421/10 e ADV Allround C‑218/10. Al punto 34 della sentenza C-124/12 AES, che richiama un’argomentazione della C‑258/95 Fillibeck, si legge che “la risposta alla questione se la fornitura, a titolo gratuito, di un bene o di una prestazione di servizi alle persone che lavorano per il soggetto passivo sia effettuata ai fini dell’impresa non dipende dalla natura del rapporto giuridico intercorrente tra il soggetto passivo e tali persone”. La Corte conclude al punto 36 che “sarebbe contrario al principio della neutralità dell’IVA far gravare su un soggetto passivo l’IVA relativa a spese…rispetto alle quali è pacifico…che esse sono state effettuate ai fini di un’attività economica anch’essa soggetta all’IVA, con la motivazione che il soggetto passivo non è il datore di lavoro…delle persone che lavorano per la sua impresa e per il cui lavoro sono state sostenute tali spese”.