Soggetta ad IVA la concessione del diritto d’autore anche se riscosso collettivamente da una società di gestione. Le conclusioni della Corte di Giustizia.

IVA

Il titolare del diritto d’autore effettua una prestazione di servizi nei confronti dell’utilizzatore finale, anche qualora la remunerazione del servizio sia “filtrata” da una società di gestione collettiva che ricopre il ruolo di soggetto passivo: queste le conclusioni della Corte Giustizia nella sentenza n. C-501/19 del 21.1.2021, che ha così affermato l’imponibilità ad IVA dell’operazione di concessione dei diritti d’autore.

La prestazione di servizi, secondo la Corte, rileva qualora il committente sia autorizzato, in virtù di licenza non esclusiva, a comunicare tali opere al pubblico dietro pagamento di remunerazioni riscosse da un organismo di gestione collettiva designato, che agisce in nome proprio, ma per conto dei titolari dei diritti, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno membri di detto organismo.

Per i Giudici, il rapporto causale tra l’utilizzo dell’opera protetta su richiesta dell’utilizzatore e la remunerazione da questo dovuta, conferma la corrispettività tra il prestatore-titolare ed il beneficiario-utilizzatore, valida ad attrarre l’operazione a tassazione IVA.

L’importo da riconoscere ai titolari dei diritti mira a remunerare il servizio reso, senza che su questo dato possa influire né “il filtro” dell’organismo di gestione collettiva, che agisce per conto dei primi, né la circostanza che la gestione dei diritti risulti da un obbligo di legge; né infine che la remunerazione sia effettuata per autori che sono o meno suoi membri, dal momento che questa non varia in funzione della categoria dei titolari dei diritti d’autore.

I Giudici hanno chiarito, altresì, il ruolo del soggetto collettore dei diritti, il quale percepisce in nome proprio, ma per conto dei titolari dei diritti, remunerazioni dovute come corrispettivo per l’autorizzazione a comunicare al pubblico le opere protette, qualificando il primo come soggetto passivo, tenuto ad emettere in nome proprio per l’utilizzatore finale fatture in cui figurano le somme riscosse.

Ne consegue, quindi, l’obbligo dei titolari dei diritti d’autore, qualora soggetti passivi IVA, di emettere verso il collettore fatture comprensive di IVA per la prestazione fornita a seguito delle somme ricevute.

La Corte ha concluso nei termini su espressi (v. anche C‑274/15 punto 86 e C‑707/18 punto 38), evidenziando che l’attività del collettore dei diritti (commissionario), genera una “finzione giuridica” di due prestazioni di servizi identiche fornite consecutivamente, per la quale l’operatore che “partecipa” ad una prestazione di servizi, ricevuti i diritti dall’operatore per conto del quale agisce (committente/utilizzatore), li fornisce poi personalmente ad un cliente (titolare dei diritti).

Preme evidenziare, per le sfumature che possono emergere, il passaggio in cui la Corte specifica i motivi delle differenti conclusioni qui raggiunte rispetto ad un precedente dalla stessa richiamato (C-37/16), su un caso simile, nel quale si discuteva se i titolari dei diritti di riproduzione effettuassero o meno una prestazione di servizi a vantaggio dei produttori e degli importatori di supporti vergini e di apparecchi di registrazione, dai quali i collettori dei diritti d’autore riscuotevano – per conto di tali titolari ma in nome proprio – canoni sulla vendita di tali apparecchi e supporti.

La Corte, lì, concludeva per l’assenza di un sinallagma sul motivo che l’obbligo di versare i canoni, per quanto gravasse su tali produttori e importatori in forza della legge nazionale che ne determinava anche l’importo, rappresentava solo “un equo compenso a vantaggio dei titolari dei diritti di riproduzione”, non già il “corrispettivo effettivo del servizio individualizzabile” di una prestazione, in quanto legato al pregiudizio subìto dai titolari per la riproduzione delle loro opere protette.

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