Gli studi di settore ai fini Iva secondo la Corte di Giustizia europea.
Con la sentenza n. C-648/16 depositata ieri, la Corte di giustizia europea è stata chiamata a pronunciarsi sul rinvio pregiudiziale della Commissione Tributaria provinciale di Reggio Calabria relativamente alla compatibilità degli studi di settore con il TFUE e la Direttiva Iva.
Il giudice del rinvio, chiamato pronunciarsi sul ricorso avverso un accertamento basato sugli studi di settore anche ai fini Iva, si è interrogato circa la conformità o meno della metodologia utilizzata rispetto al TFUE, alla direttiva IVA nonché ai principi di neutralità fiscale e di proporzionalità, dal momento che il metodo di accertamento, basato sul volume d’affari complessivo, “non prende in considerazione le singole operazioni economiche realizzate dal contribuente”.
Nelle Conclusioni dell’Avvocato generale, il quale non ha ravvisato elementi di non conformità alla Direttiva Iva da parte dell’istituto in discussione, si legge che “…qualsiasi rettifica effettuata dall’amministrazione fiscale deve, ovviamente, essere intrinsecamente corretta. A tal fine, se è stato utilizzato un metodo induttivo per stimare il fatturato di un contribuente, siffatto metodo deve essere in grado di condurre a risultati veritieri. Più specificamente, se si utilizzano studi di settore per elaborare determinate ipotesi, è necessario che tali studi siano accurati, attendibili e aggiornati”.
La Corte, dopo aver analizzato la normativa interna, ha concluso circa la conformità della stessa ai parametri della Direttiva Iva solo qualora rimanga nel perimetro dei principi di neutralità dell’imposta e di proporzionalità, ovvero garantisca al contribuente sia il diritto di detrazione dell’iva assolta a monte sia di contestare, sulla base di tutte le prove contrarie di cui disponga, le risultanze derivanti da tale metodo
La Corte sottolinea l’obbligo per l’Amministrazione di garantire il diritto di difesa del contribuente, declinato nella possibilità sia di contestare l’esattezza e la pertinenza dello studio di settore, sia di “far valere le circostanze per le quali il volume d’affari dichiarato, benché inferiore a quello determinato in base al metodo induttivo, corrisponda alla realtà della propria attività nel periodo interessato”, e di garantire che, qualora dall’applicazione dello studio di settore derivi l’onere di dover provare fatti negativi, il livello di prova richiesto non sia eccessivamente elevato in ossequio al principio di proporzionalità.