Salvezza dell’esenzione IVA all’importazione e cessione dei beni intra-UE a soggetti passivi. Ininfluenza delle frodi successive all’importazione nell’utilizzo del Regime 42.
Con la sentenza del 14 febbraio scorso resa nella causa C-531/17, la Corte europea conferma il proprio orientamento e ribadisce il diritto all’esenzione dell’IVA all’importazione in capo al soggetto importatore che ha agito in buone fede nell’ipotesi in cui, a seguito della successiva rivendita intra UE dei beni da lui importati, l’imposta non sia stata versata dal cessionario nello Stato membro di quest’ultimo nell’ambito di una frode all’IVA commessa a sua insaputa, senza che l’importatore sia tenuto per questo motivo, successivamente, a versare l’IVA evasa dal suo cessionario.
La problematica attiene all’ipotesi disciplinata dall’art. 143 par. 1 lett. d) della Direttiva IVA che concede all’importatore UE l’esenzione dell’IVA all’atto dell’ingresso della merce estera nel territorio doganale europeo, a condizione che le merci siano successivamente spedite ad un soggetto passivo in un altro Stato membro dove l’imposta sarà assolta (v. Nota 3540/2014 Dogane), nell’ambito del Regime doganale 42 (Transito).
L’esenzione dell’IVA all’importazione prevista dalla norma sopra richiamata esenta le “importazioni di beni spediti o trasportati a partire da un territorio terzo o da un paese terzo in uno Stato membro diverso da quello d’arrivo della spedizione o del trasporto, se la cessione dei beni, effettuata dall’importatore designato o riconosciuto come debitore dell’imposta è esente conformemente all’articolo 138” (esenzione per le cessioni B2B intra-UE).
L’importatore, nel caso di successiva rivendita, dichiara l’acquisto intra-UE nello Stato membro di destinazione, in modo tale da far sorgere il debito IVA all’importazione nel territorio di destino in capo al suo acquirente che verserà l’imposta con il meccanismo del “reverse charge” previsto per gli acquisti intra-UE (artt. 46 e 47 del D.L. 331/93).
Per il paragrafo 2 della norma richiamata la cessione è esente alla condizione che l’importatore comunichi allo Stato membro di importazione:
il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di importazione o il numero di identificazione Iva attribuito al suo rappresentante fiscale debitore dell’imposta nello Stato membro di importazione.
il numero di identificazione Iva dell’acquirente cui i beni sono ceduti o il numero di identificazione Iva che gli è stato attribuito nel Paese membro di arrivo della spedizione o del trasporto quando i beni sono soggetti ad un trasferimento a “se stessi”.
la prova, su richiesta, che i beni importati sono destinati ad essere spediti o trasportati a partire dallo Stato membro di importazione verso un altro Stato membro.
Il caso all’attenzione della Corte nella sentenza in commento riguardava un’operazione di import di una società austriaca, operante nel settore dei trasporti, che in qualità di rappresentante indiretto di due società bulgare immetteva in libera pratica beni provenienti dalla Svizzera e destinati con il codice “Regime Doganale 42” alle due società sue clienti operanti in Bulgaria con consequenziale trasporto dei beni in quest’ultimo Stato.
Con successivi avvisi di pagamento l’Ufficio austriaco richiedeva all’importatore/trasportatore di versare l’IVA all’importazione.
A seguito del rinvio alla Corte, si è chiesto ai giudici UE se negare o meno l’esenzione dall’IVA all’importazione relativa a beni a partire da uno Stato terzo in uno Stato membro, qualora tali beni siano stati successivamente trasferiti in un altro Stato membro ad una persona che abbia commesso un’evasione su un’operazione successiva al trasferimento in parola e che non è collegata al trasferimento medesimo (alla prima vendita interna).
La Corte, richiamando anche le conclusioni di alcuni suoi precedenti (C-531/17, C-528/17 e C-108/17), osserva preliminarmente che le due operazioni di importazione con successivo trasferimento intra-UE e la successiva cessione intra-UE oggetto di evasione, devono essere considerate come operazioni indipendenti l’una dall’altra, dal momento che l’art. 143 lett. d) della Direttiva prevede una doppia esenzione (in import e intra-UE), concludendo che, nel caso in esame, verificato che “l’evasione di cui trattasi è stata commessa in Bulgaria, nell’ambito di una cessione intracomunitaria alla partenza da tale Stato membro, è alle autorità bulgare che spetta negare il beneficio dell’esenzione dall’IVA relativa a tale cessione”.
Ciò, ovviamente, qualora non vi siano elementi per ritenere e provare che l’importatore sapesse o avrebbe dovuto sapere che tale cessione successiva all’importazione rientrava in un’evasione commessa dai destinatari bulgari (v. causa C-409/04).
La Corte ha così concluso affermando che l’articolo 143 par. 1 lettera d) della Direttiva IVA va interpretato “nel senso che il beneficio dell’esenzione dall’IVA all’importazione, di cui a tali disposizioni, non deve essere negato all’importatore designato o riconosciuto come debitore di tale imposta, ai sensi dell’articolo 201 della direttiva IVA, in una situazione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui, da un lato, il destinatario del trasferimento intracomunitario che è seguìto a tale importazione commette un’evasione su un’operazione successiva al trasferimento in parola e che non è collegata al trasferimento medesimo e, dall’altro, nessun elemento consente di ritenere che l’importatore sapesse o avrebbe dovuto sapere che tale operazione successiva rientrava in un’evasione commessa dal destinatario”.