ISTANZA DI RIVALSA IVA NEI CONFRONTI DEL CESSIONARIO CANCELLATO DAL REGISTRO DELLE IMPRESE A SEGUITO DI ACCERTAMENTO. ENNESIMA ESCLUSIONE DA PARTE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE.
Con la risposta all’interpello n. 43 del 10.2.2020 l’Agenzia, sulla scia dei propri precedenti di prassi, ha risposto negativamente ad un contribuente che, vistosi notificare accertamenti per indebita emissione di fatture ex art. 8 comma 1 lett. c) del decreto IVA, aveva aderito successivamente alla definizione agevolata delle liti pendenti ex d.l. 119/2018 mediante il pagamento dell’imposta ed intendeva, quindi, recuperare l’IVA versata all’erario e non riscossa dai suoi cessionari per mezzo dell’istituto dell’art. 60 comma 7 del decreto IVA n. 633/1972 al fine di ristabilire la neutralità dell’imposta.
Al riguardo l’istante argomentava richiamando anche un precedente della Corte di Giustizia nella causa C-127/18, secondo cui “l’articolo 90 della Direttiva IVA 2006/112/CE deve essere interpretato nel senso che osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che prevede che un soggetto passivo non possa procedere alla rettifica della base imponibile ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) in caso di mancato pagamento totale o parziale, da parte del suo debitore, di una somma dovuta a titolo di un’operazione soggetta a tale imposta, se il debitore non è più un soggetto passivo ai fini dell’IVA“.
L’istante, inoltre, prospettava all’Agenzia la seguente soluzione:
esercitare la rivalsa verso i cessionari cancellati dal registro delle imprese,
operare la variazione in diminuzione ex art. 26 comma 2 del Decreto IVA,
emettere la nota di variazione in diminuzione relativamente alla sola IVA con esclusione dell’imponibile.
L’Agenzia ha negato il diritto di operare la rivalsa nell’ipotesi sottoposta alla sua attenzione, ribadendo che l’esercizio della medesima a seguito di avviso di accertamento ex art. 60 comma 7 del decreto 633/1972, è escluso nei confronti delle società cancellate dal registro delle imprese.
L’Agenzia ribadisce quanto affermato recentemente con la risposta ad interpello n. 531 del 20.12.2019 (riguardante la rivalsa da accertamento) nella quale ricorda che la norma citata prevede che “il contribuente ha diritto di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta relativa ad avvisi di accertamento o rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi soltanto a seguito del pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi. In tal caso, il cessionario o il committente può esercitare il diritto alla detrazione, al più tardi, con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui ha corrisposto l’imposta o la maggiore imposta addebitata in via di rivalsa ed alle condizioni esistenti al momento di effettuazione della originaria operazione”.
La finalità della norma richiamata sopra è quella di garantire la neutralità dell’imposizione IVA e del correlativo diritto a detrazione con ribaltamento (rivalsa) sui consumatori finali e non anche sugli operatori economici, fuori dei casi di eccezione normativamente previste.
Cosicché la rivalsa dell’imposta, nell’interpretazione agenziale, è consentita solo a condizione di aver individuato il cliente e che vi sia connessione dell’imposta con le operazioni effettuate.
Tali conclusioni, non condivisibili in quanto del tutto disallineate con i precetti normativi unionali, sono però in linea con la prassi agenziale veicolata con le Risposte n. 84 del 26.11.2018 e n. 176 del 31.5.2019.
Da queste ultime si evince che, in caso di mancato pagamento dell’Iva da parte del cessionario o committente, al fine di recuperare l’IVA versata all’Erario, addebitata in rivalsa e non incassata, il cedente/fornitore può soltanto adire l’ordinaria giurisdizione civilistica, non potendosi invocare altri istituti della disciplina IVA, dal momento che la rivalsa ex art. 60 comma 7 ha natura di istituto privatistico, relativo ai rapporti interni tra i contribuenti e non al rapporto tributario.
Si ricorda, inoltre, la posizione dell’Agenzia espressa nella circolare 35 E del 17.12.2013, secondo cui “l’operatività dell’articolo 60 comma 7 presuppone la definizione dell’accertamento ed il pagamento dell’imposta o della maggiore imposta, delle sanzioni e degli interessi, anche mediante istituti deflattivi quali l’accertamento con adesione, l’adesione ai contenuti dell’invito al contraddittorio, l’adesione ai processi verbali di constatazione, l’acquiescenza ex art. 15 del d.lgs. 218/1997, la conciliazione giudiziale e la mediazione ex art. 17-bis d.lgs. 546/1992, o a seguito della mancata impugnazione dell’atto di accertamento nei termini di legge o a seguito del passaggio in giudicato della sentenza. Non è, invece, consentita la rivalsa, né l’esercizio del diritto alla detrazione, dell’imposta o della maggiore imposta versata a seguito di atti non divenuti definitivi”.
Cosicché l’IVA potrà essere addebitata in via di rivalsa, ex art. 60 comma 7 Dpr IVA, solo se relativa ad accertamenti definiti con uno degli istituti sopra elencati.
Si rammenta che il settimo comma dell’art. 60 in commento è stato modificato solo recentemente ad opera del d.l. 1/2012 (decreto liberalizzazioni) a seguito della procedura di infrazione 2011/4081 avviata dalla Commisisione europea contro l’Italia per evidente violazione della normativa IVA unionale, per la ragione che “escludeva il diritto del contribuente di rivalersi dell’imposta o della maggiore imposta pagata in conseguenza dell’accertamento o della rettifica nei confronti dei cessionari dei beni o dei committenti dei servizi”.